Sala chiama Batman. Ma è solo marketing della “sicurezza”
“Sono riuscito a portare a casa il migliore che c’è”, ha annunciato fiero il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Come se avesse chiamato una top model a fare la testimonial di un prodotto che va malino. Come avesse ingaggiato un calciatore chiamato a raddrizzare un campionato disastroso. Ma Franco Gabrielli non è Gigi Hadid, non è Cristiano Ronaldo. Non è neppure Batman, perché “Milano non è Gotham City”.
È un poliziotto diventato capo della polizia, direttore dei servizi segreti interni, prefetto di Roma, sottosegretario per la sicurezza del governo Draghi. Ora, alla fine di una carriera brillante, avrà un ufficio a Palazzo Marino, a fianco di quello dell’assessore alla sicurezza Marco Granelli, e sarà il consulente (gratuito) del sindaco. Gabrielli ha indubbiamente un notevole profilo professionale e istituzionale. Ma la sua “chiamata” a Milano non risolve alcun problema – per ora, poi vedremo – ma intanto ne evidenzia ben tre.
Il primo è la rottura della narrazione entusiastica sulla “Milano place to be”. Da Expo in poi si era imposto uno storytelling acritico, melenso, stucchevole sulla metropoli europea in cui tutto è meraviglioso e glam. Ora l’incanto si è spezzato e la realtà è tornata a far capolino perfino sulle pagine dei giornali, finora osannanti e plaudenti a Sala e alla sua amministrazione.
Il secondo problema è la natura pubblicitaria, di marketing, della “chiamata” di Gabrielli. Il sindaco ha reagito a un problema – gli attacchi sulla (percepita e reale) mancanza di sicurezza in città – non con fatti e soluzioni (per esempio: mandare più polizia locale nelle strade), ma con una mossa-spettacolo: annunciare in conferenza stampa l’acquisto di un cannoniere.
Il terzo problema è il più sostanziale: l’arrivo di un supereroe certifica il fallimento, o almeno l’inadeguatezza, di chi finora avrebbe dovuto occuparsi di sicurezza: il sindaco, che è per legge l’autorità di pubblica sicurezza in città, e l’assessore Granelli. Ma finisce per mettere in scacco, o almeno in imbarazzo, anche i professionisti istituzionali che già sono sul campo, il capo della polizia locale Marco Ciacci, il questore Giuseppe Petronzi, il prefetto Renato Saccone.
Il “Modello Milano” è un acceleratore di disuguaglianze, un produttore in ultima analisi di microcriminalità. Il senso di insicurezza dei milanesi oggi non è la contraddizione del “Modello Milano”, è uno dei suoi effetti
L’arrivo di Gabrielli suona un po’ come un commissariamento: di certo del povero Granelli, ma anche di Ciacci, Petronzi e Saccone. “Milano non è Gotham City, non c’è un’emergenza sicurezza”, ha rassicurato Sala. Ma allora che bisogno c’era di chiamare un supercommissario nella speranza che faccia come Batman? Se non c’è emergenza, non bastano un sindaco, un assessore, un questore, un prefetto? Come al solito, Sala procede a colpi di marketing, guarda più all’immagine che alla sostanza.
Gabrielli, un Bertolaso che ce l’ha fatta, è una trovata in linea con il “Modello Milano”: serve a far scrivere ai giornali che Sala si è mosso, ha reagito, ha avuto un guizzo che lo ha per un attimo strappato alla sua apatia; che non è stufo di fare il sindaco (come sembra), ma va avanti “con il coltello tra i denti” (come dice). Eppure, più che dare una soluzione alla città, ha dato un titolo ai quotidiani.
Quanto alle soluzioni, in materia di sicurezza nessuno ne ha. La destra usa la sicurezza (percepita) per attaccare le amministrazioni di sinistra, salvo poi non riuscire a risolvere il problema se non limitandosi a esibizioni di forza e pose da sceriffo. Milano cerca (giustamente) di unire sicurezza e coesione sociale, ma il “Modello Milano”, tanto celebrato (finora), è proprio l’opposto: è un acceleratore di disuguaglianze, un produttore di privatizzazioni, di abbandono delle periferie, in ultima analisi di microcriminalità. Il senso di insicurezza dei milanesi oggi non è la contraddizione del “Modello Milano”, è uno dei suoi effetti.