È un Dio “brand” quello che Giorgia Meloni vuole difendere
Qual è il Dio di Giorgia Meloni? A Budapest, davanti al primo ministro d’Ungheria Viktor Orban, ha detto che è necessaria una dura lotta per difendere “la famiglia, le nazioni, l’identità, Dio e tutto ciò che ha costruito la nostra civiltà”. Una dichiarazione che mostra un salto di qualità. Nei secoli passati c’erano i “Defensor Fidei”, i difensori della fede. Il papa concesse quel titolo a sovrani come il re di Polonia che aveva sconfitto i Turchi in battaglia e a Enrico VIII per aver difeso il sacramento del matrimonio e la supremazia del pontefice (non a lungo: Enrico poi ruppe piuttosto clamorosamente i suoi matrimoni e fondò la Chiesa d’Inghilterra).
Meloni fa un salto e ora dice: dobbiamo “difendere Dio”. Direttamente. Un upgrade, apparentemente, ma che – attenzione – tradisce un’inconscia mancanza di fede: si difende chi non sa farlo da sé. Per chi ha fede, Dio onnipotente non ha certo bisogno di difesa. Lo aveva detto, in passato, Papa Francesco: “Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno”. Aggiungendo: “Non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente. Chiedo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco”.
“Gott mit uns”, Dio è con noi, incidevano i sovrani di Prussia sulle fibbie dei loro soldati. E il motto durò fino al nazismo. Ognuno vuole esibire un suo Dio pronto a benedire armi e massacri, a dispetto del Vangelo. Così per secoli si sono contrapposti eserciti e nazioni, con Dio invocato come sponsor da una parte e dall’altra. Una storia cominciata con Costantino, che schiera le sue truppe sotto il segno della croce: “In hoc signo vinces”. Il segno sotto il quale l’Europa cristiana ha combattuto le crociate.
Oggi, finito da tempo il tempo dell’attacco, della Cristianità-potere, si ricompatta un fronte che gioca in difesa, per tentare di liberarsi dall’angoscia dell’assedio. È l’impaurito ritorno della Reazione, la rivincita impossibile sulla Rivoluzione francese, su Nietzsche, su Freud. È la difesa disperata dei “valori” sotto attacco: “la famiglia, le nazioni, l’identità”, elenca Giorgia Meloni. E all’elenco ora aggiunge addirittura: “Dio”.
Ma che Dio è, quello che Meloni vuole difendere? Non è il Dio cristiano del Vangelo, non il “Padre nostro”, non il Dio fatto uomo che dice “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”, non il Cristo delle Beatitudini, non lo Spirito che è amore. La Croce che ha in mente non è quella di Paolo, “scandalo e follia”, ma quella della visione di Costantino.
Il Dio di Giorgia, però, non è più neppure l’antico “Dio degli eserciti”, che ormai si schierano non sotto il vessillo della Croce, ma sotto quello della Tecnica. È un Dio impersonale, ideologico, un Dio brand: marchio di prodotti (scaduti) come la Famiglia tradizionale, l’Identità nazionale, la Tradizione occidentale, la Civiltà europea (prima della Rivoluzione francese).
La “nostra civiltà” è connotata, secondo Giorgia, non dai diritti degli uomini e delle donne, dalla tensione alla libertà, all’uguaglianza, alla fraternità, ma da Famiglia, Nazione, Identità. E Dio, il suo Dio. Una versione aggiornata del motto “Dio, Patria e Famiglia”. Ma non è l’annuncio di una politica fascista: è il solito, inoffensivo richiamo identitario per carezzare le nostalgie nel mondo del sogno, mentre nel mondo della realtà prosegue imperterrita una politica liberista, occidentale, amerikana.
Quella stessa che – per la neodestra – ha ucciso Dio, Patria e Famiglia. Giorgia lo sa, ma questo è dato, nel tempo della grande confusione: appellarsi, non senza ipocrisia, ai Grandi Valori della Reazione, mentre si pratica una Piccola Politica della Continuità.