La loggia Ungheria non c’è. È la lobby del “sistema Amara”
La “loggia Ungheria”, come raccontata dall’avvocato Piero Amara, non esiste. Esistono però “serie di iniziative individuali” e “condotte di mera pressione o di influenza poste in essere di volta in volta da singoli soggetti per conseguire finalità esclusivamente personali (e non comuni dell’associazione)”. Insomma non c’è la loggia massonica segreta e strutturata che Amara aveva descritto come una sorta di continuazione della P2. C’è un’azione lobbistica e di relazioni per indirizzare nomine, costruire carriere, favorire affari.
È quanto si legge nel decreto di archiviazione della gip di Perugia Angela Avila che chiude il procedimento iniziato a carico di Amara e dei suoi collaboratori Giuseppe Calafiore e Alessandro Ferraro e poi allargato via via ad altri sei indagati: Vincenzo Armanna, Luigi Bisignani, Denis Verdini, Luigi Caruso, Alessandro Casali e Antonino Serrao.
Amara aveva descritto ai magistrati della Procura di Milano, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, una loggia occulta e strutturata per condizionare le nomine nella magistratura e nelle istituzioni dello Stato. Aveva fatto i nomi di una novantina di affiliati e promesso di portare la lista degli iscritti: politici, magistrati, funzionari dello Stato, imprenditori, avvocati, banchieri, generali dei carabinieri e della Guardia di finanza, monsignori vaticani.
L’inchiesta passa da Milano a Perugia. Poi, “dopo le prime dichiarazioni di riscontro positivo sulla esistenza in astratto di una associazione denominata Ungheria”, scrive il gip, “è accaduto un fatto che inevitabilmente ha inciso sul proseguo delle indagini”: la fuga di notizie sulle dichiarazioni di Amara. L’indagine è svelata dopo che alcuni verbali segreti finiscono a un paio di giornali (tra cui il Fatto) e al consigliere del Csm Nino Di Matteo che ne parla al plenum.
La Procura milanese si divide sull’asserita inerzia dei suoi vertici denunciata dal pm Paolo Storari, che aveva chiesto aiuto (e consegnato i verbali segreti) all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Insorgono molti dei presunti appartenenti alla loggia (almeno una ventina) che denunciano Amara per calunnia. Ora i magistrati perugini tirano le somme.
Ricostruiscono una rete complessa e multipla di relazioni, collaborazioni, attenzioni, gratitudini, ricatti, obbedienze, dipendenze. Ma la legge Anselmi che mise fuori legge la P2 prevede l’esistenza di una “stabile struttura organizzativa della associazione segreta”, con “un programma criminoso comune”. Invece la “loggia Ungheria” raccontata da Amara è, per la giudice, frutto di “singoli rapporti di particolare amicizia o colleganza tra alcune persone”.
E le sue iniziative, “siano esse riscontrabili o no”, più che a un gruppo organizzato sono attribuibili all’“intervento di singole persone, alcune anche estranee all’associazione”. È quindi impossibile contestare la legge Anselmi. E “la mancanza di struttura organizzativa esclude anche che si possa qualificare il diverso reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione”.
È lo stesso Amara – racconta la gip – a fare marcia indietro. Ai pm di Perugia “ha via via sminuito il ruolo dell’associazione Ungheria”, fino a dichiarare che “non era un’associazione segreta; non era un’associazione a delinquere finalizzata a commettere reati; non perseguiva finalità illecite, ma principi ideali dello Stato liberale”. Amara ribadisce che è nata dal centro studi Opco di Siracusa “diretto e gestito per molto tempo da Gianni Tinebra”, magistrato che fu anche procuratore generale a Catania. Conferma che i promotori furono, “Tinebra, Michele Vietti, Enrico Caratozzolo e Giancarlo Elia Valori”, che “ne era anche il capo”.
Aggiunge che esisteva anche “un ulteriore centro di potere, parallelo all’associazione Ungheria”, attivato da Cosimo Ferri e Luca Palamara, interno al Csm “nella consiliatura 2014-2018, che di fatto aveva gestito tutte le nomine dei vertici della magistratura ordinaria”. E rivela di aver costituito, “unitamente ad altri associati delusi”, un ulteriore gruppo, “quale strumento di esercizio di potere e scambio di favori”, “sotto lo schermo della Aprom (una preesistente associazione preseguente finalità ideali e del tutto lecite)”.
Smontato dallo stesso Amara il carattere massonico e strutturato del “gruppo Ungheria”, restano gli innumerevoli episodi di pressione, intervento, richiesta di favori. Un’azione di lobbismo che ha per protagonisti politici come il berlusconiano Denis Verdini e il renziano Luca Lotti e che lambisce le lotte di potere interne a Eni per la riconferma al vertice di Claudio Descalzi.
Ma più che “loggia Ungheria”, secondo la gip, era “il sistema Amara”, una rete di relazioni con magistrati, politici, esponenti delle forze dell’ordine, come i generali dei carabinieri Tullio Del Sette e della Guardia di finanza Giorgio Toschi; e il prefetto Matteo Piantedosi, ora ministro dell’Interno del governo Meloni, che l’ex manager Eni Vincenzo Armanna sostiene di aver incontrato a una cena a casa di Amara.