Lo strano caso del Dottor Sottile che vola alto nei cieli (di Ustica)
Giuliano Amato è il Cuculo della politica italiana. È sempre stato al caldo nel nido di Tangentopoli, dei depistaggi per le stragi (Ustica), delle complicità per la extraordinary rendition (Abu Omar). Ma sempre con l’aria di quello che non voleva, non sapeva, non poteva. Fino a presentarsi oggi come il (tardivo) paladino di tutte le libertà
Giuliano Amato, tardivo paladino della verità. La sua intervista sulla strage di Ustica, sparata in prima da Repubblica come fosse uno scoop, conteneva notizie conosciute e ipotesi ripetute più volte in passato dallo stesso Amato (in dichiarazioni, interventi alla Camera, deposizioni davanti ai magistrati di Roma e alla Commissione stragi, oltre che in un intervento nel 1995 durante la presentazione di un libro insieme ad Andrea Purgatori). Missile francese lanciato contro un Mig libico nella speranza di far fuori Gheddafi, che per sbaglio fa esplodere invece il Dc9 Itavia e provoca la morte di 81 passeggeri.
Perché Amato lo ha ripetuto? Perché proprio ora? Non essendoci novità né agganci d’attualità, qualcuno ha cominciato a sviluppare spiegazioni dietrologiche: Amato vuole diventare presidente della Repubblica; lancia un attacco a Emmanuel Macron per compiacere Giorgia Meloni, che con la Francia ha sempre un conto aperto; si propone a Meloni come garante e mediatore del passaggio dalla Repubblica costituzionale antifascista al nuovo Stato presidenziale (Rino Formica dixit).
Ma Amato ha smentito seccamente ogni dietrologia, garantendo che la sua richiesta a Macron di fare chiarezza su che cosa sia successo nei cieli di Ustica la notte del 27 giugno 1980 è nata soltanto dal desiderio di verità “di una persona di 85 anni che sente che il tempo che gli resta è breve. Tutto qua, non c’è altro”. Ne prendiamo atto. E ammettiamo che comunque non si può negare che l’uscita di Amato abbia avuto un effetto positivo: ha riproposto con forza la domanda di verità e giustizia dei famigliari delle vittime e ha ributtato nel dibattito pubblico, facendola diventare centrale, l’ipotesi di un’azione di guerra compiuta da forze Nato nello spazio aereo di un Paese a sovranità limitata.
Quello che manca è una riflessione sul ruolo dell’Italia: sono stati i generali dell’Aeronautica militare a fabbricare false piste (prima il “cedimento strutturale”, poi, fino a oggi, “la bomba a bordo”), a intimidire i testimoni (con qualche suicidio e morti sospette), a far sparire prove e tracciati radar. Non era più semplice chiedere la verità in casa nostra, oggi e magari fin dal 1986, quando Amato era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, invece che chiederla ora all’Eliseo?
Così l’operazione si avvia ad avere zero risultati fattuali, ma ottimi risultati mediatici per Amato (che comunque, appena entrato nella sala della stampa estera per la sua conferenza, ha guardato i loghi dei microfoni sul tavolo e, un po’ deluso, ha chiesto: “Ma dov’è la stampa estera?”).
Chi sa continua a tacere. E la politica farfuglia. I militari? Amato li giustifica ancor oggi: “Se hanno deciso di custodire un segreto, non lo hanno certo fatto per biechi interessi personali”. I politici? Non sapevano nulla, poverini, “sono stati tenuti all’oscuro dai militari”. È comodo, per chi ha avuto responsabilità di governo, cercare di “riappacificarsi con la storia” dicendo quarant’anni dopo: “Chi sa parli”. “Se il pilota dell’aereo che sparò il missile è ancora vivo, o altri che volarono lì intorno, potrebbero farlo, senza portarsi nella tomba il peso del silenzio”: ma così il peso della verità è gettato tutto sugli ultimi anelli della catena di comando. Dopo aver giustificato, in qualche modo, i vertici militari e politici.
Chissà se c’è chi ricorda che, prima dell’odierno Amato di lotta e d’intervista, c’era l’Amato di governo che diceva: “Non esiste un caso Pollari” (sul ruolo del servizio segreto diretto allora da Nicolò Pollari nei dossieraggi di Stato di Pio Pompa e nel sequestro Cia di Abu Omar, su cui anche Amato votò per il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale, per coprire con il segreto di Stato gli agenti del Sismi e il suo direttore e chiudere in archivio la verità).
Comodo, per chi ha avuto responsabilità di governo, cercare di “riappacificarsi con la storia” dicendo quarant’anni dopo “Chi sa parli”: al pilota che sparò. Così il peso della verità è gettato tutto sugli ultimi anelli della catena di comando, dopo aver giustificato i vertici militari e assolto i politici