Il nubifragio di Milano e le scelte urbanistiche del sindaco Sala
I miei amici del Sud dicono: “Voi di Milano siete milanocentrici e lamentosi. Vedete solo il vostro nubifragio, i vostri alberi caduti, le vostre strade bloccate dai rami. E non vedete la Sicilia in fiamme e i danni nel resto dell’Italia”. Forse hanno qualche ragione, ma non è il caso di fare la classifica delle sciagure: occupiamoci di ogni parte d’Italia, senza sottovalutare alcun dramma locale. E senza dare spazio a quei buontemponi dei negazionisti per i quali la crisi climatica non esiste, è normale che d’estate faccia caldo e d’inverno faccia freddo e se qualcosa succede è sempre colpa degli ambientalisti.
Accanto ai negazionisti palesi e dichiarati, che è facile smentire, ci sono però quelli più nascosti e obliqui, che predicano bene e razzolano male. A Milano, per esempio, il sindaco Giuseppe Sala, dopo la notte del nubifragio in città, ha dichiarato: “Nella mia vita ho visto 65 estati e quello che sto vedendo ora non è normale. Non possiamo più negarlo: il cambiamento climatico sta modificando la nostra vita. Non possiamo non fare nulla. Anche Milano deve fare la sua parte. E la farà”.
Certo, quello che è successo alle 4 di notte di martedì 25 luglio 2023 è un fatto eccezionale: “Un evento mai visto”, ha commentato l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli, “in dieci minuti, quasi 40 millimetri di pioggia, cioè quella che di solito a Milano cade in un mese”. Anche a Milano, come nel resto del mondo, sarà dunque necessario ridurre le emissioni e l’uso dei carburanti fossili.
Ma c’è qualcosa di specifico che a Milano si dovrebbe fare e che il sindaco invece non fa e non vede: perché è connaturato con il modello di sviluppo della città promosso dal sindaco stesso. È il “Modello Milano” che oggettivamente moltiplica i danni del cambiamento climatico, come il “Modello Emiliano” ha amplificato gli effetti dell’alluvione in Romagna. Edificazione, cementificazione, consumo di suolo, riduzione progressiva delle superfici permeabili: è questa la base del “Modello Milano” (come di tanti altri progetti di sviluppo urbanistico in tutta Italia). Chi promuove questo modello non può dunque cadere dal pero e sentirsi estraneo ai processi climatici di cui nei fatti amplifica i risultati.
A Milano, nell’ultimo anno sono stati rilasciati dall’amministrazione Sala i permessi a costruire su più di 200 mila metri quadrati di verde, che saranno impermeabilizzati e cementificati. Sono la realizzazione di 180 piani che si aggiungono alle centinaia degli anni precedenti. Milano aveva un’occasione unica: la dismissione delle grandi aree degli scali ferroviari – un totale di 1 milione e 250 mila metri quadrati – poteva farla diventare la città più verde d’Europa, con la realizzazione di un “central park” o di un anello verde che avrebbe cambiato il volto alla metropoli.
Il sindaco Sala, il suo assessore Pierfrancesco Maran e la giunta tutta hanno preferito invece far decidere il futuro di Milano agli “sviluppatori”, agli immobiliaristi, ai padroni dei fondi immobiliari, Manfredi Catella in testa. Le aree degli scali ferroviari sono così diventate il loro biglietto vincente della lotteria, con indici di edificazione superiori a quelli massimi permessi dal Piano di governo del territorio (Pgt).
Dove poi l’amministrazione Sala ha messo le mani per ridisegnare aree e piazze, ha cementificato il suolo e creato delle incredibili isole di calore: in largo Cairoli davanti al castello Sforzesco, nella nuova piazza San Babila, in piazza Lavater, nella rinnovata piazza Tricolore, nel prossimo piazzale Loreto. Cemento, grattacielo e un super centro commerciale a San Siro con la scusa di fare un nuovo stadio. Via i tigli e un pezzo di glicine per cementificare l’ultimo fazzoletto di verde a Porta Volta. Abbattere il bosco di via Falck. Cancellare La Goccia.
“Milano deve fare la sua parte”, ha proclamato Sala. La sta facendo da anni, purtroppo. Al prossimo nubifragio, il sindaco abbia almeno il buongusto di stare zitto.
Cementificazione, consumo di suolo, riduzione delle superfici permeabili: è questa la base del “Modello Milano”. Chi lo promuove non può cadere dal pero e sentirsi estraneo ai processi climatici di cui nei fatti amplifica i risultati
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