Avanzi di P2. Chi parte e chi resta della loggia segreta di Gelli
Il più augusto dei piduisti ci ha appena lasciato. Silvio Berlusconi la buttava in barzelletta: “Ma come, io ‘apprendista muratore’ quando invece ero già il più grande costruttore italiano di città?”. Ma la loggia di Licio Gelli continua a sollevare polemiche. L’ultima è quella per la nomina di Serafino Liberati alla guida dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio.
L’idea è stata del nuovo presidente regionale, Francesco Rocca, che ha scelto per quel ruolo un ex generale di corpo d’armata dei carabinieri che dopo essere stato per oltre quattro decenni nell’Arma ha fatto per 15 anni il consigliere militare della Croce rossa italiana. Con un neo nel curriculum: il nome di Liberati era negli elenchi della P2, scoperti da Giuliano Turone e Gherardo Colombo nel 1981, quando era ancora capitano.
Apparteneva al gruppo di Roma della loggia, con numero d’elenco 389. L’iscrizione alla P2, definita dalla commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi un’associazione “criminale” ed “eversiva”, non ha rallentato la carriera del capitano Liberati, che si è congedato dall’Arma, anni dopo, con i gradi di generale; né ha reso inopportuna la sua nomina, oggi, al vertice di un organismo che dovrebbe vigilare sulla legalità.
Non è l’unico piduista a non aver subito danni dall’iscrizione, anzi. Oggi gli iscritti sono stati ridotti dall’inesorabile scorrere degli anni, ma i sopravvissuti se la passano benissimo. Luigi Bisignani ha fatto dimenticare le sue condanne penali e oggi continua a sussurrare ai potenti, indicando strade, nomine e carriere. Ha abbandonato da anni il silenzio e la riservatezza felpata con cui si muoveva ai bei tempi della sua militanza andreottiana e ora parla e scrive, scrive e parla, ogni domenica tiene il suo sermone sul Tempo e gira l’Italia a presentare il suo ultimo libro, I potenti al tempo di Giorgia (Chiarelettere), scritto con Paolo Madron e non privo di informazioni e segnali.
Il giornalista Massimo Donelli (tessera numero 2207) era il più giovane dei piduisti ed è ancora attivo. Dopo aver diretto Tv sorrisi e canzoni, Epoca e CiaoWeb, è stato direttore di Canale 5 e poi dell’area sviluppo e comunicazione di Mediaset. Oggi insegna giornalismo e management televisivo all’Università Vita e Salute San Raffaele, alla Cattolica di Milano e all’Università della Svizzera italiana di Lugano.
Più defilati oggi, anche per ragioni d’età, altri piduisti come Fabrizio Cicchitto, passato dalla sinistra lombardiana al Psi di Bettino Craxi, per poi approdare a Forza Italia, da cui si è staccato per seguire Angelino Alfano nell’Ncd. Poi ha aderito al Partito radicale in occasione di una conferenza stampa di solidarietà a Marcello Dell’Utri condannato per mafia. O Stefano De Andreis, il giornalista che con Lino Jannuzzi e Roberto Chiodi ha fondato l’agenzia di stampa “il Velino”. O Publio Fiori (tessera 1878), una lunga militanza politica nella Democrazia cristiana e poi in Alleanza nazionale che lo ha portato a diventare più volte sottosegretario e ministro, nei governi guidati da Carlo Azeglio Ciampi, da Giuliano Amato, da Silvio Berlusconi. Fino al sogno (finora non realizzato) di ricostruire la Dc, magari in compagnia di Clemente Mastella o Gianfranco Rotondi.
Ci sono uomini della P2 che invece hanno già un loro posto nella storia. Massimiliano Cencelli ha per sempre il suo nome legato a quel “manuale” che nella Prima Repubblica serviva a spartire i posti alla tavola del potere. Pietro Longo, già segretario del Partito socialdemocratico, è diventato l’icona del piduista con cappuccio. Duilio Poggiolini (tessera 2247) è per sempre legato all’immagine dei pouf trovati a casa sua dagli investigatori di Mani pulite, imbottiti di un tesoro che sembra quello dei pirati nei cartoni animati.
Nei sedili di casa e in cinque casse nascoste nel caveau di una banca napoletana furono trovati titoli di Stato, lingotti d’oro, zaffiri, rubini, brillanti, rubli dello zar Nicola II e krugerrand sudafricani, perfino monete antiche provenienti dagli scavi di Ercolano e dal medagliere del Museo archeologico di Napoli. Alle pareti, 60 tele di gran pregio, un museo personale dal Seicento a Picasso a De Chirico. “Non immaginavo di essere così ricco”, commentò.
Si è ritirato a vita privata Massimo De Carolis (tessera 1815, solo un numero in meno di quella di Berlusconi, 1816), negli anni Settanta democristiano e leader della Maggioranza silenziosa, poi sostenitore di Forza Italia, ma tenuto a distanza dall’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini. Giancarlo Elia Valori, unico caso di piduista espulso dalla loggia di Gelli perché faceva troppa concorrenza al Venerabile Maestro, dopo aver collezionato cariche, incarichi e affari per una vita intera, oggi resta l’amico dei dittatori del mondo e l’infaticabile scrittore di libri poco letti ma molto presentati, perfino nell’aula magna del palazzo di Giustizia di Milano, che per un pomeriggio parve trasformata da tempio di Mani pulite a tempio massonico. Per sapere invece le ultime su Vittorio Emanuele di Savoia (tessera 1621), piazzista internazionale d’armi, si può vedere la miniserie Il Principe firmata da Beatrice Borromeo e in arrivo su Netflix.