POTERI

Il mausoleo di Arcore vuoto, così finisce una storia italiana

Il mausoleo di Arcore vuoto, così finisce una storia italiana

Una storia italiana, quella di Silvio Berlusconi. Che mescola in dosi variabili tutti gli ingredienti delle grandi storie italiane: soldi, successo, relazioni, potere, affari, politica, massoneria, sesso, reati, mafia. Ora che la sua avventura terrena si è conclusa, non potrà essere sepolto nel mausoleo di travertino e marmo rosa che si era fatto progettare da Pietro Cascella nel parco della villa di Arcore, senza segni cristiani ma disseminato di simboli esoterico-massonici, sfere, cilindri, coni.

La legge italiana non permette sepolture fuori dai cimiteri, come già dispose Napoleone. A questa legge non potrà ribellarsi, dopo una vita passata a contestare i magistrati e a fabbricarsi leggi ad personam. “Ho subìto ben 86 processi, per un totale di 3.672 udienze”, disse in una delle sue tante interviste sul tema. “Mettendole tutte in fila, si avrebbe un processo infinito, con udienze tutti i giorni, per dieci anni, senza soste neppure a Natale. Neppure Kafka avrebbe immaginato un incubo come questo. Credo siano un record assoluto, certamente in Italia e probabilmente nel mondo”.

Berlusconi cambiò più volte nel tempo la contabilità dei processi e delle udienze, ma di certo la sua è una lunga storia giudiziaria, cominciata ben prima della sua “discesa in campo”. La prima inchiesta risale addirittura al 1983 quando, nel corso di un’indagine su droga e riciclaggio, la Guardia di finanza mise sotto controllo i suoi telefoni e scrisse in un rapporto che Berlusconi risultava il finanziatore di un traffico di stupefacenti dalla Sicilia. Ma l’istruttoria non trovò alcuna prova e nel 1991 fu archiviata. Il secondo incontro ravvicinato di Berlusconi con la giustizia avvenne nel 1988, quando dichiarò il falso al giudice in merito alla data della sua affiliazione alla loggia P2 di Licio Gelli, ma fu salvato dall’amnistia.

La scena madre della sua storia giudiziaria però fu quella del 22 novembre 1994. Berlusconi aveva trionfato alle elezioni, era presidente del Consiglio da sei mesi. Quel giorno si trovava a Napoli per partecipare a un vertice dell’Onu sulla criminalità organizzata. La mattina, nelle edicole arrivò il Corriere della Sera che sparò lo scoop in prima pagina: “Milano, indagato Berlusconi”. Per le tangenti pagate a uomini della Guardia di finanza al fine di ammorbidire verifiche fiscali alla Mondadori, a Mediolanum, a Videotime, a Telepiù.

Dopo anni di battaglie processuali e di recriminazioni politiche, Berlusconi fu condannato in primo grado a 2 anni e 9 mesi di reclusione, ma in appello la Corte gli concesse le attenuanti generiche e per questo scattò la prescrizione: la prima di una lunga serie. La Cassazione, nel 2001, confermò le condanne per i coimputati di Berlusconi (i suoi collaboratori che pagarono materialmente le mazzette; e i due finanzieri che le intascarono): dunque le tangenti ci furono, ma i giudici ritennero di non avere la prova certa che Berlusconi ne fosse al corrente.

Ad aiutare la bilancia della giustizia fu la falsa testimonianza dell’avvocato David Mills, il professionista sublime che aveva costituito a Londra le società offshore di Berlusconi, la Fininvest-ombra. In aula a Milano, Mills non raccontò la verità e per il suo silenzio fu ricompensato (come stabilirà definitivamente la Cassazione nel 2010) con 600 mila dollari pagati – lo ammise lo stesso Mills in una lettera al suo fiscalista – per aver tenuto Berlusconi “fuori da un mare di guai”.

Intanto i processi si erano moltiplicati. Per molteplici falsi in bilancio, per i versamenti in nero per l’ingaggio del calciatore Gianluigi Lentini, per l’acquisizione della Medusa Cinematografica, per l’acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio, per aver comprato senatori, per aver indotto a mentire imprenditori d’avventura. Il Berlusconi politico fece cambiare la legge sul falso in bilancio, ridusse i tempi di prescrizione, confezionò “lodi” e leggi su misura che gli regalarono assoluzioni, proscioglimenti, prescrizioni.

Bisogna riconoscerlo: faceva sempre le cose in grande, voleva essere sempre il numero uno. Fu lui infatti a pagare la più grande tangente mai versata in Italia a un singolo uomo politico: 23 miliardi di lire pagati a Bettino Craxi. Fatti accertati, condanna in primo grado per finanziamento illecito (Craxi a 4 anni, Berlusconi a 2 anni e 4 mesi), ma prescrizione salvifica per entrambi in appello.

Fu poi Ilda la rossa a indagare sulle “toghe sporche” di Roma, i giudici pagati, per ottenere sentenze favorevoli, da Cesare Previti, l’avvocato di Berlusconi per le questioni “riservate”. Dal lavoro investigativo di Ilda Boccassini e Gherardo Colombo nacque il processo sul Lodo Mondadori in cui Berlusconi fu accusato di aver comprato la sentenza che gli permise di conquistare la più grande casa editrice italiana, contesa a Carlo De Benedetti. Ma, ancora una volta, prima della condanna arrivò la prescrizione.

Nel secondo dei processi “toghe sporche”, quello sulla vendita ai privati della Sme (l’azienda alimentare pubblica contesa tra De Benedetti e la cordata Berlusconi-Barilla-Ferrero) risultò che Berlusconi avesse pagato, tramite Previti, il giudice Renato Squillante: lo dimostrano le carte bancarie. Ma non si sa perché, non avendo Squillante avuto a che fare direttamente con processi di Berlusconi e non essendoci la prova che Squillante fosse intervenuto per alterare il corso della causa Sme. Assolto, dunque.

Tanti processi, una sola condanna. A 4 anni per frode fiscale, per aver nascosto all’erario 7,3 milioni di euro (ma “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” furono di ben “368 milioni di dollari”). Perse per qualche anno il seggio in Parlamento, ma non si arrese mai, sperando nel ricorso ancora pendente (“Berlusconi contro Italia”) davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Colpevole, ma non punibile per la solita prescrizione, anche per aver fatto divulgare dal Giornale, durante la campagna elettorale del 2006, la telefonata segreta in cui Piero Fassino disse: “Abbiamo una banca”: da quella fuga di notizie illecita – dice la sentenza – l’ex presidente del Consiglio trasse un “vantaggio nella lotta politica”, screditando il leader del maggior partito avversario in piena campagna elettorale.

E poi c’è Ruby, approdo della storia italiana. Condannato in primo grado, assolto in appello: dall’accusa di prostituzione minorile perché i giudici non ritennero provato che sapesse l’età di Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori; e dall’accusa di concussione perché la riforma di quel reato impone minaccia, ma Silvio fu invece suadente quando chiese di liberare “la nipote di Mubarak”. Assolto, già in primo grado, dall’accusa di aver pagato ragazze e testimoni per farli mentire sulle “cene eleganti” di Arcore: pagato ha pagato, mentito hanno mentito, ma per i giudici non erano testimoni, dovevano essere imputati. E la forma è sostanza, con buona pace dei fatti.

Ora riposi in pace, anche se non gli è concesso il sacrario di Arcore, così vicino alla sala del bunga-bunga. Chissà se ha ragione lo psicoanalista Massimo Recalcati quando mette in connessione il “collezionismo di giovani donne” con la “sospensione del tempo” e “lo scongiuro della morte”. E quando definisce il mausoleo di Cascella “lo sforzo supremo per consegnare la sua immagine all’eternità”, “una specie di viagra di marmo”. Perché “il vero luogo del bunga-bunga non è il lettone di Putin, ma il sacrario, il mausoleo cimiteriale dove viene preparato illusoriamente un posto nell’eternità”.

 

Il Fatto quotidiano, 13 giugno 2023
To Top