MILANO

Milano, il glicine, la Piramide, il consumo di suolo e la Resistenza

Milano, il glicine, la Piramide, il consumo di suolo e la Resistenza

Se tra le cause della tragedia che si è abbattuta sull’Emilia Romagna c’è il consumo di suolo che impermeabilizza i terreni e impedisce alle acque di defluire, un campanello d’allarme dovrebbe suonare anche a Milano, città campione di consumo di suolo proprio negli anni in cui la crisi climatica rende estremi i fenomeni atmosferici, facendo succedere a lunghi periodi di siccità improvvise e catastrofiche “bombe d’acqua” che provocano danni e vittime in un territorio fragile e ipercementificato.

Il campanello d’allarme dovrebbe suonare anche a palazzo Marino, dove ha la plancia di comando il generale del Modello Milano, quel Giuseppe Sala che del consumo di suolo ha fatto la cifra del suo successo. Il suo lancio sulla scena pubblica è stato infatti la costruzione della “piastra” di Expo, cioè la cementificazione e impermeabilizzazione di un’area verde di oltre un milione di metri quadrati, per costruirci sopra gli scintillanti e provvisori baracconi del lunapark internazionale del food (nobilitato – ricordate? – dallo slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita”).

Ora sull’area (che un dimenticato referendum cittadino imponeva di mantenere a parco) arriveranno le ennesime torri e palazzi e residenze e uffici e alberghi. Per tentare di renderli commercialmente appetibili, in una zona sfigata chiusa tra due autostrade e un cimitero, hanno dovuto programmare la deportazione sulla stessa area degli studenti delle facoltà scientifiche dell’università Statale, strappate da Città Studi.

Quel primo consumo di suolo è stato per Sala il passaporto per arrivare a palazzo Marino e per avviare tutti quelli successivi, da quelli progettati sugli scali ferroviari fino all’operazione Scaroni-San Siro. Progetti immobiliari su milioni di metri quadrati. Ma c’è un consumo di suolo piccolo piccolo che vorremmo qui ricordare, perché il diavolo sta nei particolari e il piccolo spiega il grande.

È la storia di un glicine che presto scomparità. È in piazza Baiamonti, dove ora cresce in un prato insieme ad alcuni tigli, assediati dal cemento di Porta Volta. Glicine e tigli saranno tagliati perché su quel prato dovrà sorgere la terza “piramide” progettata da Herzog e De Meuron, simmetrica a quelle che ospitano Microsoft e Feltrinelli sull’altro lato della piazza. Hanno provato a opporsi i cittadini, hanno raccolto firme per salvare il prato, si è opposta la dem Milly Moratti, ha votato contro il verde Carlo Monguzzi (il suo emendamento al Pgt fu respinto 17 voti a 12).

Niente: lì dovrà sorgere la “piramide” per uffici. Poi è arrivata l’ideona dell’allora ministro della Cultura Dario Franceschini: piazzare nella “piramide” il museo della Resistenza. Come opporsi a una proposta così democratica e antifascista? Come rifiutare un progetto che si propone di conservare la Memoria e di diffondere la conoscenza e i valori della lotta partigiana che ha restituito la libertà e la democrazia all’Italia soggiogata dai fascisti e occupata dai nazisti?

Così addio glicine, addio tigli, addio prato, e benvenuto cemento. Il Modello Milano è creativo: al greenwashing aggiunge ora il partisan-washing, per contrapporre Memoria e lotta per il verde, per mettere gli uni contro gli altri i cittadini dei comitati e i sostenitori dell’Anpi.

Come andrà a finire è facilmente prevedibile: il verde sparirà, la “piramide” sarà edificata e poi i soldi per il museo della Resistenza non arriveranno, da un governo che apprezza i busti di Mussolini. La “piramide” ospiterà altri uffici, gli ennesimi. O magari il museo interattivo della Sostituzione Etnica e del Made in Italy.

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Il Fatto quotidiano, 19 maggio 2023
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