Addio a Ratzinger, uomo mite e papa intransigente che piace alla destra
Che Joseph Aloisius Ratzinger, papa Benedetto XVI, riposi in pace. I commenti dei giornali italiani hanno sottolineato soprattutto il tratto mite del suo carattere, che lo ha portato fino “al gran rifiuto”, alle dimissioni dalla sede di Pietro. I giornali di destra – in prima fila il Foglio – lo hanno celebrato con la noncurante schizofrenia degli atei che vogliono insegnare il mestiere ai papi.
Ratzinger, “il Pastore tedesco” di un sublime vecchio titolo del Manifesto, piaceva alla destra. Per il suo tenere fermi, contro la secolarizzazione, i valori della Cristianità come unico, assoluto, indiscutibile principio fondante, in un mondo in cui la Cristianità è, in verità, un Occidente secolarizzato e assediato in un pianeta multicentrico. Una Cristianità ormai senza Vangelo, dimenticato in nome del potere.
Ciò che resta è il controllo della vita e dei corpi, aborto, omosessualità, fine vita, eutanasia, scuole private e istituti cattolici. La Croce “scandalo e follia” di Paolo è sostituita dalla Croce di Costantino, che si fa Stato e potere. Questo è ciò che di Ratzinger piace (e serve) ai suoi sostenitori alla disperata ricerca di un segno (“In hoc signo…”) che tenga insieme un Occidente vecchio, ricco, impaurito, assediato. Ma lui, Ratzinger, che cos’era, oltre che un uomo mite, affabile e ironico?
Un teologo che aveva respinto le tentazioni giovanili di un pensiero che poneva in questione la Chiesa e Dio nel mondo moderno, il pensiero di Hans Küng, ma anche di Karl Rahner, di Edward Schillebeeckx, di Hans Urs von Balthasar. Condannata poi seccamente la Teologia della liberazione. Di fronte a un mondo e a un pensiero che hanno perso centro e fondamento, Ratzinger reagisce allo smarrimento ergendo a barriera le certezze del suo rifiuto del relativismo.
Non un grande pensatore, secondo Umberto Eco: “Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente molto grossolane, nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole”.
Il relativismo che indica come il nemico diabolico con cui non si deve scendere a patti non è altro che l’illuminismo e tutta la cultura (e la storia) che ne è derivata fino a oggi. A questo contrappone una “Ragione” che è ragion teologica, Parola definitiva, Verità assoluta. Codificata nei concetti della teologia cristiana distillata tra il terzo e il quinto secolo, quando il cristianesimo si sposa con la filosofia greca, anzi, con il neoplatonismo, e dà vita a una dottrina (poi tutelata e imposta dall’imperatore) che sarebbe stata del tutto incomprensibile ai primi cristiani e agli stessi apostoli.
Così una visione culturale tra tante diventa l’Unica, eretta a Parola definitiva contro il relativismo. Ratzinger dimentica Grozio (“Etsi Deus non daretur”) e diventa il custode dell’ortodossia (“Veluti si Deus daretur”, sulla scia di Pascal). Viene scelto da papa Wojtyla per guidare l’ex Santo Uffizio negli anni in cui Giovanni Paolo lavora per far deflagrare il già morente blocco sovietico. Paradossi della storia: l’esito sarà quel Putin che oggi agita contro l’Occidente corrotto e secolarizzato lo stesso richiamo ai Valori eterni della Tradizione; quella della vera Ortodossia, precedente allo scisma d’Oriente.
Poi il prefetto Ratzinger diventa papa e la lotta al relativismo la cifra di un papato intransigente nell’affermare che c’è una sola salvezza, quella della Chiesa cattolica romana, e che non si può dire il Vangelo con parole diverse da quelle del neoplatonismo aggiornato al massimo a Sant’Agostino. Ora l’uomo mite dal messaggio rigido se ne va tra gli applausi di una destra secolarizzata e relativista che fa finta di non vedere la contraddizione insanabile contenuta nei suoi stessi applausi.