GIUSTIZIA

Il giudice boccia l’Eni: le informazioni del “Fatto” erano corrette, le critiche legittime

Il giudice boccia l’Eni: le informazioni del “Fatto” erano corrette, le critiche legittime Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

Domanda rigettata e condanna alle spese. È quel che ha deciso il giudice del Tribunale civile di Roma Corrado Bile con la sentenza con cui, in primo grado, ha respinto la richiesta di Eni di condannare il Fatto quotidiano e il suo direttore Marco Travaglio, per quella che riteneva “una campagna diffamatoria tesa a collocare sotto una falsa luce la società, rappresentata come una sorta di spectre dedita ai peggiori affari, alla corruzione e allo sfruttamento rapace dei malcapitati Paesi africani”. La compagnia petrolifera, inoltre, si era “sentita lesa dall’esplicita affermazione secondo cui l’Eni avrebbe ‘tradito il modello Mattei’ che prevedeva il coinvolgimento del Paese produttore nella produzione e nello sviluppo delle risorse”.

Eni chiedeva al Fatto 350 mila euro di risarcimento danni, più la restituzione alla compagnia petrolifera “dell’ingiusto profitto ottenuto in conseguenza dei fatti illeciti esposti”, più il pagamento da parte di Marco Travaglio di un’ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria. Pretendeva inoltre la cancellazione della memoria, con la rimozione degli articoli che aveva contestato dal sito ilfattoquotidiano.it. La sentenza del 13 dicembre 2022 condanna invece Eni “a rifondere ai convenuti”, cioè al Fatto, “le spese di lite, liquidate in complessivi 7.600 euro” più iva e spese generali.

Eni aveva indicato ben 31 articoli pubblicati dal Fatto, sostenendo che il quotidiano aveva orchestrato una campagna diffamatoria contro la compagnia, raccontando in maniera falsa e denigratoria la vicenda dell’acquisto nel 2011 della licenza d’esplorazione Opl 245 in Nigeria e conducendo una campagna di “‘propaganda politica’ in danno della società e dei suoi vertici”. Dei 31 articoli, otto riguardavano la vicenda Eni-Nigeria, gli altri 23 erano “relativi all’asserita propaganda”.

Il giudice nella sentenza li analizza a uno a uno, concludendo che nessuno di essi è diffamatorio: “Giova ricordare che la libertà di manifestazione del pensiero, collocata nell’ambito dei diritti inviolabili dell’uomo, è stata significativamente definita dalla Corte costituzionale ‘pietra angolare dell’ordine democratico’”. Corretta la cronaca, legittima anche la critica: “Il diritto di critica, anch’esso emanazione dell’articolo 21 della Costituzione”, aggiunge il giudice richiamando una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), “oltre che in forma di pacata espressione di una valutazione personale dell’autore, può esprimersi, legittimamente, anche in forma di aperto dissenso”. È dunque lecita “una certa dose di ‘esagerazione’, ‘provocazione’, ‘non moderazione’” nella “espressione di un giudizio o di un’opinione personale dell’autore, che non può che essere soggettiva”.

Così non sono diffamatori gli articoli che raccontano il caso Nigeria, oggetto di un processo che allora era ancora in corso e poi è finito con l’assoluzione di tutti gli imputati, tra cui l’amministratore delegato della compagnia Claudio Descalzi. Ma è legittima anche l’opinione, espressa in più articoli del Fatto, che non fosse opportuna la riconferma di Descalzi al vertice di Eni, finantoché fosse stato imputato per corruzione internazionale e coinvolto in una vicenda di conflitto d’interessi in famiglia.

Analizzando a uno a uno i 31 articoli indicati da Eni, il giudice allinea e ripete valutazioni positive: “legittimo esercizio del diritto di critica”; libertà “di esprimere una opinione”; “fatto di interesse generale riportato e affiancato da considerazioni critiche del tutto legittime”; “i toni utilizzati, certamente polemici e incisivi, rientrano nell’ambito del diritto di critica”. È legittimo raccontare “vicende avvertendo il lettore che si tratta di questioni ancora oggetto di indagine e sulle quali, allo stato, non si è accertata alcuna responsabilità penale e, al contempo, esprimere un’opinione critica sull’opportunità di una scelta politica”.

Questa sentenza libera il Fatto da una spada di Damocle legale, che pendeva sulla redazione e sui soci azionisti anche tenuto conto dell’entità del risarcimento richiesto. Ma è soprattutto una vittoria per l’informazione italiana, che ora può sentirsi più libera di raccontare vicende con protagonisti potenti, e ancor più per i lettori, più liberi di essere informati.

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Il Fatto quotidiano, 15 dicembre 2022
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