Le ha provate tutte. Ma niente nuovo processo per cancellare la condanna Mediaset
Bisogna saper perdere. Non sempre si può vincere. Ma sulla condanna definitiva per frode fiscale, Silvio Berlusconi a perdere proprio non ci sta. Le ha tentate tutte, per azzerare quella condanna. Tutti i tentativi gli sono però andati male. L’ultimo si è sgonfiato il 28 settembre, quando la Corte di cassazione ha rigettato il suo ricorso contro l’ordinanza della Corte d’appello di Brescia che gli aveva sonoramente bocciato la richiesta di riaprire il processo sui diritti tv.
La suprema corte dice che non c’è alcun motivo per giudicare di nuovo la vicenda delle sue frodi fiscali (7,3 milioni di euro occultati all’erario e sopravvissuti alla prescrizione, su un totale di “368 milioni di dollari di maggiorazioni di costo realizzate negli anni”). Quella vicenda si è chiusa il 1 agosto 2013 con una condanna definitiva a 4 anni di reclusione, di cui 3 coperti da indulto. Niente nuovo processo, stabilisce ora la terza sezione penale della Corte di cassazione, che condanna Berlusconi al pagamento delle spese processuali.
I suoi avvocati ci avevano provato, chiedendo alla Corte d’appello di Brescia di riaprire il processo. Questa aveva deciso il 30 novembre 2021 con un’ordinanza che per il leader di Forza Italia suonava come una disfatta totale: la richiesta è inammissibile perché non è “sostenuta da alcuna prova nuova”, ma è soltanto un “mero tentativo di riproporre deduzioni difensive già affrontate e risolte in senso negativo, il cui esame si risolverebbe in un inammissibile quarto grado di giudizio”. E Berlusconi non era stato affatto sottratto al suo giudice naturale, quando fu giudicato dalla sezione feriale della Cassazione, presieduta dal giudice Antonio Esposito.
Ora la Cassazione conferma la decisione dei giudici di Brescia, ribadendo che non possono essere considerate prove nuove quelle che erano soltanto sentenze successive, come quella del processo Mediatrade, o del Tribunale civile di Milano che aveva giudicato un contenzioso tra Mediaset e il produttore Frank Agrama: giudicavano imputati diversi da Berlusconi e per fatti “ontologicamente diversi e cronologicamente commessi in periodi diversi”.
Berlusconi si era anche lamentato di essere stato “sottratto al giudice naturale”, con il risultato di aver “subito una indebita compressione dei tempi di difesa” e di “essere stato giudicato da un magistrato prevenuto”. Già la Corte di Brescia gli aveva risposto che “non è sufficiente che la violazione di questi principi venga argomentata dal condannato, ma è necessario che risulti accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Questa è ora l’ultima spiaggia: la Cedu di Strasburgo, dove pende dal 2014 il ricorso di Silvio Berlusconi contro la Stato italiano per non aver ricevuto un giusto processo.
Non è l’unica iniziativa anti-condanna nata in questi anni. Nel luglio 2020, i media di casa avevano diffuso le registrazioni (rubate) di alcune conversazioni tra Berlusconi e uno dei giudici della Cassazione, Amedeo Franco, deceduto nel 2019, che era andato ad Arcore a dire che lui non era d’accordo e che la condanna era “una grave ingiustizia”, “una porcheria”. Poi erano spuntati tre dipendenti di un hotel di Ischia di proprietà della famiglia dell’ex senatore di Forza Italia Domenico De Siano, a raccontare che il giudice Esposito, anni prima della sua condanna, aveva espresso pubblicamente giudizi pesanti su Berlusconi, dimostrandosi così prevenuto.
E infine era riemersa una cena dell’agosto 2011 in provincia di Cosenza, con inviatati l’attore Franco Nero, l’imprenditore Massimo Castiello, sua moglie Sandra Leonetti. Quella sera, il giudice Esposito – racconta Castiello intervistato anni dopo dal Giornale – avrebbe detto frasi del tipo: “Berlusconi mi sta proprio sulle palle, se mi dovesse capitare a tiro gli faccio un mazzo così”.
Tutti questi episodi, trasformati in scandali dai media berlusconiani, si sono poi sgonfiati come soufflé venuti male. Le dichiarazioni del giudice Franco provano solo il comportamento gravemente scorretto di un magistrato che ha firmato pagina per pagina la sentenza di condanna e poi è corso dal suo condannato a scusarsi per la decisione. E anche i magistrati di Roma hanno stabilito, dopo un’indagine, che l’assegnazione alla sezione feriale della Cassazione era regolare.
I tre di Ischia sono sotto giudizio civile per diffamazione. L’imprenditore Castiello è stato condannato in primo grado per aver detto il falso su Esposito. Condannata, in primo grado, anche sua moglie. È stata poi assolta in appello, ma l’11 novembre 2022 ha visto la sua assoluzione annullata dalla Cassazione, con rinvio al giudice civile che dovrà decidere su un eventuale risarcimento al giudice Esposito che si è ritenuto diffamato.