Silvio ostaggio del “cerchietto magico” (e di se stesso). I figli preoccupati
Chi l’avrebbe mai detto che ci sarebbe toccato di vedere un Silvio Berlusconi quasi prigioniero della cabina del Senato? Non ci voleva entrare e ci si era infine cacciato di malavoglia per votare con irritazione Ignazio La Russa presidente dell’assemblea. Convinto all’ultimo momento a deporre la sua scheda nel cesto per non rompere definitivamente con Giorgia Meloni, dopo aver obbligato i suoi senatori a non giocare questa partita, ha dovuto essere sostenuto fisicamente da Daniela Santanché per riuscire a uscire dalla cabina in cui era quasi rimasto incastrato, disorientato.
Una grande umiliazione, proprio nel giorno che aveva previsto come il giorno della rivincita, del grande ritorno nel Senato da cui era stato cacciato dopo la condanna. Un’umiliazione fisica, nel mostrare la sua fragilità, ma soprattutto politica, nel constatare la sua superfluità: altri hanno regalato, o venduto, i voti che lui credeva unici e indispensabili. A guardare in tv la scena dell’umiliazione c’erano anche i suoi figli, i suoi vecchi amici. Non sono riusciti a evitarla. E non sanno come fare a fermare il declino.
Gianni Letta, che una giornata così gliel’avrebbe evitata, non può più nemmeno parlargli al telefono. Non glielo passano. Marina e Piersilvio non li vuole ascoltare. Silvio è prigioniero del suo ultimo cerchio magico, ma anche di se stesso e del suo passato che è passato. Il cerchietto magico di Arcore – Marta Fascina, Licia Ronzulli – è un sistema di protezione che proprio Marina ha contribuito a costruire, dopo il complesso intervento al cuore subito dal padre nel 2016, smontando il sistema precedente, creato attorno a Mariarosaria Rossi e Francesca Pascale.
Ronzulli da assistente è diventata zarina e, via via, aspirante padrona del partito, a costo di litigare con tutti, su su, fino ad Antonio Tajani. È fedele, efficiente. Ha servito Silvio fin dai bei tempi in cui filtrava Gianpi Tarantini e smistava le ragazze che arrivavano con il trolley a Villa Certosa. Ora la vuole premiare. Con un ministero. E non tollera che una Giorgia Meloni qualsiasi possa dirgli di no. Ha abbassato le pretese, in fondo chiede solo tre poltrone del governo o poco più.
Ha la concezione – imperante fin dalla Prima Repubblica – dell’insindacabilità delle scelte di ogni commensale al tavolo della spartizione. Se ho tre posti, su quei tre decido io. Io scelgo i nomi. Perché mai qualcuno dovrebbe opporsi a Ronzulli ministra del Turismo? Ma Meloni ha detto no. Chi si crede di essere, un Mario Draghi che sceglie nome per nome tutti i ministri? O un Oscar Luigi Scalfaro che blocca Cesare Previti?
Marina e Piersilvio scuotono la testa, ormai vorrebbero spezzare il cerchietto magico. Per salvare, se non il partito, almeno il patrimonio. Ma non sono operazioni che si possono fare in una notte. E poi loro padre non li ascolta: è indebolito ma tenace, ha mantenuto la tempra dei bei tempi in cui poteva chiedere, ordinare e disporre. È generoso. Vuole mantenere le promesse. Tajani proverà a disinnescare le tensioni, nel tempo del declino.