Addio a Niccolò Ghedini, l’avvocato che salvò (quasi) sempre l’amico Silvio
Era malato da tempo ma, sempre gentile, richiamava al telefono e rispondeva pazientemente anche al cronista non certo benevolo con il più cruciale dei suoi assistiti. Niccolò Ghedini si è spento all’ospedale San Raffaele di Milano, a 62 anni, consumato da una forma di leucemia. È stato per oltre due decenni il silenzioso, inflessibile, laborioso, riservato, scaltro consigliere per gli affari giudiziari di Silvio Berlusconi, custode di tanti suoi segreti, temutissimo dalla truppa di Forza Italia e rispettato dai vertici, l’unico che sia riuscito ad aggiungersi al primo cerchio di Arcore, quello dei Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta.
Ghedini era l’avvocato di Berlusconi nelle aule di giustizia e, nello stesso tempo, il politico che in Parlamento faceva diventare legge ciò che i giudici respingevano in aula. Il primo ad affermarlo, non senza un pizzico di brutalità, fu, in un momento di rabbia, chi lo aveva preceduto nella difesa di Silvio, l’avvocato e parlamentare di Forza Italia Gaetano Pecorella: “Ghedini perde i processi in tribunale e prova a vincerli in Parlamento”.
Giudizio ingeneroso, visto che tra prescrizioni e depenalizzazioni, cambiamenti del codice e assoluzioni, il bilancio finale segna finora una sola condanna, quella a 4 anni nel processo sui diritti tv. A fare il suo lavoro, giocando di sponda tra aule di giustizia e aule parlamentari, Ghedini ha cominciato con il processo Sme-Ariosto e non si è mai fermato, fino alla saga Ruby, arrivata alla terza stagione e ora affidata ad altri legali. Negli anni ruggenti dei processi milanesi sulle “toghe sporche”, contesta in aula le prove documentali arrivate ai pm per rogatoria internazionale, in fotocopia o via fax; e in Parlamento subito arriva (ottobre 2001) la legge che impone a quei documenti di passare prima per il ministero della Giustizia e di arrivare in originale, con tanto di firme e timbri.
Difende Silvio da più accuse di falso in bilancio; ed ecco che spunta (2002) la depenalizzazione di quel reato. In aula a Milano chiede di spostare i processi a Brescia, perché non ritiene imparziali i giudici milanesi; ed ecco che a Roma passa (novembre 2002) la legge Cirami sul “legittimo sospetto”. Poi arriva il lodo Schifani (giugno 2003) che sospende i procedimenti giudiziari alle cinque più altre cariche dello Stato, anzi all’unico che è sotto processo, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E la legge Cirielli (2005), che gli rende più facile la prescrizione. E la legge Pecorella (2006) che annulla l’appello per chi è assolto in primo grado (oggi riproposta da Silvio). E il lodo Alfano (2008) che ripresenta i contenuti del lodo Schifani, dopo che questo viene bocciato dalla Corte costituzionale.
È poi Ghedini in persona a presentare in Parlamento (2010) la legge sul “legittimo impedimento” che bloccherebbe i processi di Berlusconi per almeno sei mesi; e sul “processo breve”, che imponendo tempi perentori per la celebrazione dei diversi gradi di giudizio farebbe evaporare i processi sui diritti tv e su Mills in cui Berlusconi era in quel momento imputato. Non succederà, perché l’opposizione nel Paese è così forte che nel settembre 2010 il disegno di legge viene accantonato. Prima, erano state la Corte costituzionale, la Corte di cassazione e le Convenzioni internazionali a far naufragare le altre proposte di Ghedini e dei suoi compagni di partito.
Intanto nel giugno 2009 era scoppiato il caso di Patrizia D’Addario, primo anticipo della stagione di Ruby Rubacuori. La escort pugliese racconta al Corriere le sue notti con Silvio e annuncia di averne una registrazione audio. È allora che Ghedini interviene con uno spettacolare periodo ipotetico del terzo tipo: “Il presidente Berlusconi non ha mai incontrato la signora D’Addario e non c’è alcuna registrazione dell’incontro. Ancorché fossero vere le indicazioni della ragazza, e vere non sono, il presidente del Consiglio sarebbe l’utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile”.
La definizione di “utilizzatore finale” è per l’avvocato una sottigliezza giuridica, per l’Italia un titolo da prima pagina. L’anno dopo, la protagonista di altre notti è Ruby, che è minorenne: dunque l’“utilizzatore finale” secondo la legge diventa penalmente punibile. Ma Ghedini riesce a dimostrare che il suo assistito non sapeva l’età della ragazza e che non aveva fatto vere e proprie pressioni sui funzionari della questura di Milano che l’avevano fermata. Vince su Ruby. Perde sui diritti tv, con Berlusconi condannato definitivo per frode fiscale ed escluso dal Parlamento.
Ora che tornerà in Senato, Silvio non avrà più accanto il suo avvocato, senatore per quattro legislature. Lo saluta con affetto, quasi leggendo nella fine dell’amico il segno della propria: “Ci ha lasciato il nostro Niccolò. Non ci sembra possibile ma purtroppo è così. Il nostro dolore è grande, immenso, quasi non possiamo crederci: tre giorni fa abbiamo lavorato ancora insieme. Cosa possiamo dire di lui? Un grande, carissimo amico, un professionista eccezionale, colto e intelligentissimo, di una generosità infinita. Ci mancherai immensamente, e ci domandiamo come potremo fare senza di te. Niccolò caro, Niccolò carissimo, ti abbiamo voluto tanto bene, te ne vorremo sempre. Addio, ciao. Per noi sei sempre qui, tra noi, nei nostri cuori. Un forte, fortissimo abbraccio”.