“È Enrico Letta ad aver convocato la riunione con Giuseppe Sala, non certo Luigi Di Maio”. A raccontarlo è uno dei pochi che conoscono davvero gli umori e le strategie del sindaco di Milano. Sala e il ministro degli Esteri si sono incontrati nella casa del sindaco a Brera subito dopo la scissione Cinquestelle promossa da Di Maio. E ora stanno tentando, su spinta del segretario Pd, di mettere in piedi una lista che aiuti il centrosinistra a raccogliere voti: Di Maio al Sud, Sala al Nord – almeno secondo le speranze di Letta.
È da tempo che Sala, sindaco riluttante, fa cose, vede gente. Costretto al secondo mandato a Milano dopo aver cercato invano altri posti, manageriali o politici, ha spacciato per trionfo una rielezione a palazzo Marino avvenuta con oltre la metà dei milanesi astenuti (cosa mai successa prima di lui): è stato scelto, cifre alla mano, da meno di un quarto degli elettori. Svogliato, si guarda in giro, stringe relazioni, cerca vie d’uscita. Pensa al futuro (il suo).
Poiché l’autostima non gli manca, è convinto di avere i numeri per giocare un ruolo politico nazionale, per fare il “federatore” di un centro progressista, verde e soprattutto glam. Senza rischiare troppo, però, dunque tenendosi stretta, per ora, la poltrona di sindaco. Anzi, sentendosi leader di un (inesistente) partito dei sindaci. La caduta del governo Draghi ha dato un’accelerazione a tutti i processi politico-elettorali e ha fatto nascere la strana coppia Sala-Di Maio.
Il primo incontro tra i due era avvenuto a New York nel maggio scorso. “Tra i giovani politici è uno che è cresciuto, ha fatto il suo percorso, lo guardo con attenzione”, aveva poi dichiarato Sala. “Bisogna giudicare le persone non solo dal passato ma anche dal potenziale”. Nel passato lo aveva attaccato ferocemente. Quando, nel 2018, un Di Maio allora vicepresidente del Consiglio aveva proposto la chiusura dei negozi la domenica, Sala aveva replicato: “Li chiudessero ad Avellino, qui a Milano non ci rompano le palle”.
Ora la musica è cambiata. Di Maio ha “potenziale”, Sala vuole un ruolo nazionale ed è disposto a dargli una mano. I progetti dei due coincidono, perché il sindaco di Milano da tempo ripete: “Il mio ruolo è restare sindaco, ma dare una mano”. L’ha data a Verona a Damiano Tommasi, quando era in corsa per diventare sindaco della città, partecipando alla sua campagna elettorale. Stessa cosa ha fatto, a Torino, per Stefano Lo Russo, candidato Pd poi eletto primo cittadino sotto la Mole.
Ora Letta gli chiede un impegno più deciso per raccogliere qualche voto al Nord per Di Maio, da sommare ai suoi (sperati) voti in Campania. Con Bruno Tabacci che presta alla nuova creatura politica (come in passato alla lista Bonino) il simbolo del suo Centro Democratico, per evitare a Di Maio di dover raccogliere 25 mila firme per presentare le liste elettorali. La lista “Sala e Tabacci” – come subito è stata chiamata – non è proprio il “soggetto politico popolare, liberal-democratico, ambientalista e sociale” più volte annunciato da Sala. Ma Letta preme, e Sala risponde.
Il segretario del Pd sa che alle elezioni del 25 settembre si gioca la sua permanenza alla segreteria del partito. Per tentare di tenersela, visto il previsto successo della destra e di Giorgia Meloni, si è posto due obiettivi da raggiungere: il partitino di Carlo Calenda dovrà avere un voto in più del Movimento 5 stelle (così da dimostrare la convenienza di aver scaricato Giuseppe Conte preferendogli Azione); e, soprattutto, il suo Pd dovrà avere un voto in più di Fratelli d’Italia (così da essere chiamato per primo al Quirinale per le consultazioni sul nuovo governo*). Vedremo come andrà. Quanto a Di Maio, Letta gli assicura un collegio per la rielezione e una “casa” centrista per attirare qualche elettore fuori dal Pd, in un “partito dei sindaci” senza sindaci.
Chi conserva memoria, ricorda l’adesione di Sala ai Verdi europei: annunciata con clamore sui giornali, ma mai avvenuta. E oggi resa davvero difficile da una gestione della siccità a Milano che i Verdi hanno criticato duramente: per risparmiare acqua, Sala ha ordinato la chiusura delle fontane cittadine (che funzionano con riciclo d’acqua); e ha sospeso l’innaffiamento del verde cittadino, provocando la morte di centinaia di piante, quando ogni anno a Milano è comunque necessario prelevare dai pozzi di prima falda (e buttare) 40 milioni di metri cubi d’acqua, per evitare gli allagamenti del metrò. “Lo avesse fatto una giunta di centrodestra”, protesta il consigliere Verde Carlo Monguzzi, “ci sarebbero in piazza gli ambientalisti, i verdi, la sinistra, a chiedere le dimissioni dei responsabili di questo disastro”. Lo ha fatto Sala, dunque nessuna protesta.
Contro l’accordo Sala-Di Maio ha protestato invece Carlo Calenda: “Il centro come ricettacolo di ogni trasformismo non è un progetto politico, ma un ufficio di collocamento”.