A proposito dello stadio di San Siro, Giuseppe Sala, grande appassionato di curling e (a tempo perso) sindaco di Milano, ha introdotto di fatto nei regolamenti comunali di palazzo Marino il famoso Comma 22, quello che valeva per i piloti nel romanzo di Joseph Heller: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo. Ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”.
A Milano è stato adattato così: il dibattito pubblico sul nuovo stadio di San Siro non si può fare, perché le società proponenti non hanno ancora depositato il progetto esecutivo (ma solo dei render fantasiosi mandati ai giornali in cui si vede una cattedrale dello sport in mezzo a una foresta amazzonica); ma lo stadio ormai si deve fare, perché la giunta ha già concesso la “dichiarazione di pubblico interesse”. Ma se il progetto ancora non c’è, a che cosa è stata data la “dichiarazione di pubblico interesse”?
Torniamo al 5 novembre 2021: quel giorno, la giunta di Sala decide di concedere la “dichiarazione di pubblico interesse” al progetto presentato da Milan e Inter: è la condizione per far scattare la “legge sugli stadi” che permette a chi costruisce un nuovo impianto di edificarci attorno grattacieli ed edifici in modo da ripagarsi abbondantemente l’investimento. Dopo questa scelta, seguire le dichiarazioni del sindaco e dei suoi assessori è diventato più divertente del curling (ci vuole poco).
Sala: “Non me ne voglio lavare le mani, però io quello che dovevo fare, ovvero dichiarare il pubblico interesse, l’ho fatto”. Filippo Barberis, Pd: “Per avviare il ‘dibattito’ serve un piano di fattibilità aggiornato da parte delle squadre che a oggi non c’è”. Giancarlo Tancredi, assessore alla Rigenerazione urbana: “Prima del ‘dibattito pubblico’ è necessario chiedere alle squadre una documentazione ufficiale, un aggiornamento dello studio di fattibilità, con i numeri fondamentali, una relazione, gli aspetti finanziari che sono molto importanti”. Tutte cose che non ci sono, ammettono ora sindaco e assessori.
Curioso: per far partecipare i cittadini alla scelta sullo stadio è necessario avere un progetto completo, con numeri e tabelle; per dare il via libera all’operazione immobiliare, il 5 novembre, a Sala e Tancredi sono bastati invece i disegnini degli attuali proprietari di Milan e Inter, che non vedono l’ora di incassare le volumetrie dell’operazione immobiliare attorno allo stadio per poter raddrizzare i conti in rosso dei club (e poi, una volta risanati, magari venderli).
Dibattito sì, dibattito no, il Comma 22 di San Siro – confesso – mi appassiona ancor meno del curling. Non si farà, ma anche qualora si facesse, è probabile che si risolva come quello sugli scali ferroviari: qualche incontro, un po’ di marketing, molto bla bla bla (direbbe Greta) per far scegliere ai cittadini i colori delle tendine di una casa già decisa.
Più efficaci mi paiono gli altri strumenti già messi in campo: i due ricorsi al Tar, il Tribunale amministrativo regionale; e i due referendum, propositivo e abrogativo, per cancellare la famosa delibera che concede (a scatola chiusa) la “dichiarazione di pubblico interesse”.
Perché ormai è chiaro che l’interesse è privato, privatissimo: un fondo americano che vuol rientrare dell’investimento fatto e un imprenditore cinese in cattive acque cercano di raddrizzare i conti con un’operazione immobiliare a Milano fatta su terreni pubblici e, per di più, pretendendo di abbattere un bene comunale: il Meazza, icona della città, Scala del calcio, luogo carico di memoria e di glorie sportive e musicali (leggete C’era una volta a San Siro, di Gianfelice Facchetti!).
Il Comune di Firenze ha deciso di ammodernare il suo stadio con i fondi del Pnrr e di aggiungerci un parco, un museo e un auditorium pubblico. Sala si limita invece a fare il promotore immobiliare per un fondo Usa e un’azienda cinese.
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