GIUSTIZIA

Eni, il rompicapo delle chat “fabbricate” da Armanna

Eni, il rompicapo delle chat “fabbricate” da Armanna

di Gianni Barbacetto e Antonio Massari /

False o vere, le chat tra il manager Eni Vincenzo Armanna e i massimi dirigenti della compagnia, Claudio Descalzi e Claudio Granata? Cerca ora di rispondere la perizia tecnica disposta dalla Procura di Milano, stabilendo che esiste certamente una “alterazione della base dati sottostante a Whatsapp” nei 45 messaggi del 2013 delle due chat di Armanna con Descalzi e Granata. “Alterazione che ha informato proprio i 45 messaggi in analisi”.

La perizia conclude però che “non è possibile stabilire come questa alterazione sia stata compiuta”. Non può dunque affermare che i messaggi siano certamente falsi, “fabbricati” da Armanna. Sicuramente però esistono numerose anomalie informatiche, e questo fa dubitare della loro genuinità.

In quelle chat, Descalzi, allora direttore generale di Eni e oggi amministratore delegato, e l’allora capo del personale Claudio Granata, tentavano di convincere Armanna a ritrattare le accuse rivolte alla compagnia di corruzione internazionale in Nigeria, a proposito dell’acquisizione del grande campo d’esplorazione petrolifero Opl 245. Lo facevano con pesanti minacce e con suadenti promesse: di essere di nuovo assunto in Eni, da cui era stato cacciato, e di essere lautamente ricompensato attraverso la società nigeriana Fenog.

Era il 1 novembre 2020 quando il Fatto pubblicava uno stralcio di quelle chat, che lo stesso Armanna ci aveva mostrato. Il Fatto scrisse che, se vere, dimostravano un comportamento scorretto di Eni; se false, dimostravano un inqualificabile attacco “per colpire Descalzi (non sappiamo a quali fini)”. Le chat furono acquisite dalla Procura milanese che poi, il 5 novembre, sequestrò il telefono di Armanna per analizzarne il contenuto.

Nel novembre 2020 fu realizzata “copia forense” del contenuto del telefono, ma Descalzi e Granata pretesero, con i loro consulenti, che quel contenuto fosse esaminato con un software più sofisticato, il Full File System, capace di un’analisi più profonda dei dati informatici, che fu cercato e infine impiegato nel luglio 2021. A questo punto, i consulenti dei due manager Eni pretesero di ottenere dalla Procura copia integrale dei dati estratti con il Full File System, per avere a disposizione tutto il contenuto del telefonino di Armanna.

Il procuratore aggiunto Laura Pedio rispose di no, perché l’“accertamento in contraddittorio con le parti” che era in corso riguardava soltanto le due chat di Granata e Descalzi e non tutto il materiale del cellulare, che conteneva molti altri dati e molte altre chat. Per tutta risposta, le parti Descalzi e Granata il 25 ottobre 2021 si ritirano dalla consulenza e si rivolgono al gip Anna Magelli, chiedendo di ottenere copia integrale dei dati. Proprio ieri la gip ha rigettato le loro richieste ritenendole illegittime.

Intanto il consulente Maurizio Bedarida ha concluso i suoi accertamenti. Ha verificato che i 45 messaggi del 2013 tra Armanna e Descalzi e Granata sono numerati dall’1 al 45 e appaiono tutti assegnati a un’unica data, l’8 dicembre 2015. Poi nel database c’è un salto di 75 messaggi, vuoti. Infine i messaggi riprendono, dopo un apparente “silenzio” di oltre due anni, con il numero 120 e con datazioni che ripartono dal 2016.

Ecco le “alterazioni”, che il consulente ritiene “inspiegabili”, nella “base dati sottostante a Whatsapp”. È evidente che il telefono sequestrato ad Armanna, un iPhone 8, è un modello che nel 2013 non era ancora in commercio. È avvenuta dunque una trasmigrazione delle chat dal telefono precedente, oppure Armanna ha “fabbricato” le chat con qualche diavoleria elettronica?

Il pm Paolo Storari, in disaccordo con i colleghi della Procura, aveva ipotizzato la falsità delle chat, a inizio 2021, già sulla base del fatto che i numeri di telefono di Granata e Descalzi con cui Armanna chattava, secondo Vodafone nel 2013 non erano ancora attivi, essendo stati assegnati ai due manager Eni rispettivamente nel 2017 e nel 2018. Il procuratore Francesco Greco e la sua aggiunta Pedio avevano obiettato che in questa storia non si poteva escludere per principio l’utilizzo di numeri coperti e riservati.

Ora la consulenza Bedarida dovrà essere attentamente analizzata dalla Procura di Milano che dovrà prendere decisioni su Armanna e sugli altri indagati (tra cui Granata e l’avvocato Piero Amara, quello che ha raccontato l’esistenza e gli affari di una presunta loggia Ungheria) nell’inchiesta sul “complotto” Eni ormai giunta alla conclusione.

Un intreccio di depistaggi e false denunce a cui ora si aggiungono le “alterazioni” delle chat con Granata e Descalzi. Armanna doveva immaginare che, dopo la pubblicazione delle chat sul Fatto, gli avrebbero sequestrato il telefono. Ora, certificare “l’alterazione” delle chat, ma non la loro falsità, è la peggiore delle conclusioni: un’alterazione talmente raffinata da impedire qualsiasi certezza. Così l’attendibilità di Armanna è ulteriormente crollata: è l’unico risultato certo. E le sue “artefazioni” sembrano una bomba a orologeria innescata per far esplodere le inchieste di Milano.

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di Gianni Barbacetto e Antonio Massari, Il Fatto quotidiano, 9 novembre 2021
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