Riforma Cartabia. Il bavaglio che vuole cancellare anche la memoria
Cancellare la memoria: per non farsi mancare niente, la riforma Cartabia prevede anche la possibilità di far smarrire per sempre nel web le tracce di storie che non siano finite con il timbro “colpevole” stampigliato in fondo a una sentenza definitiva. Lo stabilisce il disegno di legge “per l’efficienza del processo penale” (così si chiama) che all’articolo 25 dice: “Prevedere che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati”.
Ma altro che “diritto all’oblio”: chiunque abbia avuto una sentenza di assoluzione, un’archiviazione, un non luogo a procedere, o anche una prescrizione o improcedibilità, potrà far deindicizzare gli articoli che riguardano il suo procedimento, cioè fare in modo che Google e gli altri motori di ricerca non riescano più a trovarli nel mare del web.
Dunque la legge Cartabia non solo sostituisce la prescrizione con l’improcedibilità, cancellando i processi che dureranno (a regime) più di due anni in Appello e più d’uno in Cassazione; non solo darà al Parlamento (dunque alla politica) la possibilità di dettare ai magistrati le priorità nei reati da perseguire, incrinando il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale; ma permetterà anche di azzerare la memoria di storie non finite con una condanna.
Chi è stato assolto (o prescritto) potrà far perdere le tracce delle sue vicende processuali, che resteranno nel web, ma praticamente introvabili. Nel caso di storie che hanno a che fare con la vita collettiva, la politica, le istituzioni, i cittadini saranno privati della possibilità di ricordare il passato. Non solo: gli archivisti faranno fatica a raccogliere e conservare i documenti e a mantenere memoria di importanti vicende collettive e gli storici avranno difficoltà a scrivere la storia del nostro Paese.
Il primo esempio che viene alla mente è la fresca assoluzione del generale-prefetto Mario Mori nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Secondo la legge Cartabia, ora potrebbe far sparire dal web la sua presenza processuale e impedire ai lettori, ai cittadini e agli storici di ricostruire il suo ruolo nella trattativa che le istituzioni dello Stato hanno avviato con Cosa nostra (senza commettere reati, secondo la sentenza d’appello che lo ha assolto). Sarà difficile così ricostruire la storia della mafia e della corruzione in Italia.
Filippo Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente Pd della Provincia di Milano, è uscito grazie alla prescrizione dall’inchiesta per concussione in cui era accusato di aver intascato una supertangente di 5 miliardi e 750 milioni di lire (come anticipo di una mazzetta complessiva di 20 miliardi di lire) ricevuta, secondo l’accusa, per permettere di costruire sull’area dove sorgevano le acciaierie Falck. Prescritto, dunque diritto all’oblio e diritto alla cancellazione delle poche molliche di pane seminate nel web da qualche ingenuo Pollicino.
E Berlusconi? Una trentina di processi, ma una sola condanna definitiva, finora, quella per la frode fiscale. Per il resto, prescrizioni e assoluzioni. Come raccontare, allora, il ventennio berlusconiano, con gli *** al posto del nome? E forse non si potrà raccontare fino in fondo neppure la storia dell’unica condanna passata in giudicato, perché gran parte dei soldi nascosti al fisco e agli azionisti di minoranza di Mediaset sono usciti dalla scena processuale a causa della prescrizione: erano 368 milioni di dollari, ma solo 7,3 milioni sono sopravvissuti fino alla sentenza finale. Cancellarli dal web?
Difficile scrivere anche la storia dell’eversione. Come raccontare un evento cruciale per la storia italiana come la strage di piazza Fontana, che ha avuto una dozzina di processi, ma tutti finiti con assoluzioni? E con un paradosso finale: una sentenza della Cassazione del 2005 afferma che i responsabili dell’attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura, che però non possono più essere condannati perché definitivamente assolti per lo stesso reato nel 1987.
E che dire di un protagonista assoluto della strategia della tensione come Pino Rauti? È stato indagato per la strage di piazza Fontana, ma poi prosciolto. Dunque merita la deindicizzazione degli articoli che raccontano la sua storia. Eppure è il fondatore di Ordine nuovo, il gruppo neofascista che una sentenza definitiva indica come la cabina di regia di almeno due stragi italiane, quella di piazza Fontana del 1969 e quella di piazza della Loggia a Brescia del 1974.
Sono allarmati anche gli addetti ai lavori: “È una iniziativa legislativa che avrà effetti gravi”, dice Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni. “Gravi non per chi ovviamente sa come e dove trovare le informazioni, ma per chi non ha le competenze per farlo e può usare soltanto i motori di ricerca. Non dobbiamo dimenticare che il diritto all’oblio nacque in modo diverso, per proteggere le vittime di violenza sessuale di cui giustamente non si devono diffondere identità o, peggio, contenuti. Questa, a mio parere, è invece una distorsione. Mi auguro che l’Europa intervenga per garantire deroghe, soprattutto per fini storici. Ma anche in questo caso: quali saranno? E come e da chi saranno stabilite?”.
L’avvocato Caterina Malavenda denuncia da tempo “gli scricchiolii” che vengono da “una non casuale e inarrestabile convergenza di iniziative che tendono a ridurre progressivamente, ma inesorabilmente, la facoltà di decidere — magari sbagliando e rispondendo dell’errore — che cosa si può dire e che cosa invece no”. Con la deindicizzazione Cartabia, “non c’è più bilanciamento fra diritti né l’inevitabile riduzione della sfera privata di chi è in politica, ma c’è l’oblio che cala su tutto, subito e per sempre”. Possiamo solo sperare — aggiunge — nei decreti legislativi che dovranno dare applicazione alla legge che tenta di cancellare la memoria.