Cose da pazzi. A Trieste la destra cerca di smontare la legge Basaglia
Dovremmo prestare più attenzione a quello che sta accadendo a Trieste, estremo lembo a nordest dell’Italia. Quello che succede lì, sotto il soffio della bora, potrebbe arrivare presto in tutto il Paese. È in corso un attacco alla riforma psichiatrica di Franco Basaglia, che aprì i manicomi e nel maggio del 1978 ispirò la Legge 180. È stata una delle grandi conquiste civili (insieme al divorzio e allo statuto dei lavoratori) arrivate sull’onda del movimento democratico scoppiato a partire dalla grande rivolta del Sessantotto. Il manicomio di Trieste, dove Basaglia operava, fu il primo a essere aperto e a sperimentare le sue idee innovative.
Nella città in cui più di tutte il confine è stato un trauma, si provò a eliminare il confine sempre incerto tra “normalità” e follia. Ma oggi i confini tornano di moda, diventano muri. E proprio a Trieste è avvenuto un fatto che diventa un segno dei tempi.
Qualche mese fa, viene indetto il concorso per trovare il nuovo direttore del Centro di salute mentale 1 di Trieste, conosciuto come il Csm di Barcola. Al concorso partecipano alcuni medici che da anni continuano il percorso basagliano, sviluppando soprattutto un’assistenza diffusa sul territorio che aiuti il disagio dove e quando insorge. Nella prima fase della gara, quella che valuta i titoli, le pubblicazioni e il curriculum, risulta primo Mario Colucci, docente universitario, da trent’anni al Dipartimento di salute mentale (Dsm) di Trieste, continuatore dell’esperienza di Basaglia. Secondo Fabio Lucchi, che ha lavorato agli Spedali civili di Brescia.
Poi c’è il colloquio orale, una chiacchierata a porte chiuse di pochi minuti, che ribalta la graduatoria dei tre candidati finali: il primo diventa l’ultimo e l’ultimo diventa primo. Il direttore generale dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina (di nomina politica) sceglie Pierfranco Trincas, psichiatra con una specializzazione in ambito criminologico che proviene dai Servizi di salute mentale di Cagliari.
Una realtà che gli addetti ai lavori considerano arretrata, dove si pratica la psichiatria in reparti ospedalieri fatiscenti e inospitali, si usa ancora la contenzione fisica e dove non c’è quasi esperienza del fiore all’occhiello dell’eccellenza (finora) triestina: l’assistenza diffusa sul territorio, in centri aperti che sembrano delle case e dove i pazienti sono trattati come fossero a casa.
È un segnale. Che piace tanto al presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (Lega), e al suo assessore alla Salute, Riccardo Riccardi (Forza Italia). Piace meno agli assistiti e agli operatori friulani e giuliani, che temono un ritorno al passato. L’allarme si diffonde anche all’estero, dove la riforma di Basaglia è conosciuta e imitata. “An unfolding nightmare” (Un incubo che si rivela), scrive il quotidiano britannico The Independent. Se ne occupa anche il British Medical Journal. E l’autorevole Lancet ospita una petizione dal titolo: “Save Trieste’s mental health system” (Salviamo il sistema della salute mentale di Trieste). In Italia, qualche articolo sulla stampa locale, qualche raro commento sui giornali nazionali (Massimo Recalcati sulla Stampa). Poi più niente.
Non è una piccola vicenda amministrativa locale, quella che tenta di liquidare l’esperienza basagliana, sostituendola con il ritorno a un passato di camicie di forza e letti di contenzione. È un ulteriore sintomo di un tentativo di rivincita culturale delle destre italiane, le stesse che vorrebbero cacciare un rettore eletto perché si oppone all’equiparazione Foibe-Shoah, le stesse a cui piace che a dirigere l’Archivio di Stato sia un bibliotecario che ha elogiato un protagonista della stagione delle stragi.