Marija Judina, la pianista che fece piangere Stalin
Una lunga notte senza sonno, come ogni notte. Il vino georgiano, un bicchiere dopo l’altro, non basta più a fare da sonnifero e a dissolvere le ombre nere che ogni notte lo vengono a visitare. È l’uomo più potente della Russia, uno dei più potenti al mondo, eppure è solo nel silenzio lugubre del Cremlino. Iosif Vissarionovic Dzugasvili lascia la sua scrivania e prova a distendersi sul divano ricoperto da un vecchio Shiraz, stranamente simile a quello su cui un medico ebreo di Vienna faceva sdraiare i suoi pazienti per ascoltare i loro sogni e i loro incubi.
Accende l’apparecchio radio, sintonizzato su Radio Mosca, a cui ha ordinato di trasmettere musica ogni notte, per alleviare le pene della guerra contro l’invasore nazista che è arrivato fino a cingere d’assedio per ventinove mesi la città di Leningrado. Stalin ama la musica, quella popolare della sua Georgia e quella classica dei grandi autori europei. Dalle valvole del grosso apparecchio parte l’Adagio del Concerto n.23 K 488 di Mozart, eseguito dal vivo dall’orchestra sinfonica di Stato dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.
Al pianoforte, Marija Judina. Stalin viene ipnotizzato da quell’interpretazione energica, vibrante, personalissima. Non riesce a trattenere le lacrime. Alla fine dell’esecuzione, in piena notte, chiama di persona, al telefono, Radio Mosca e chiede di avere la registrazione. Panico: quell’esecuzione non è stata registrata; ma non si può dire di no a Stalin. E allora…
>>> Mozart, Piano Concerto No. 23 in A major, K. 488 2. Adagio. Al piano Marija Judina
Inizia così il romanzo di Giuseppina Manin, firma del Corriere della sera, compagna di scrittura di Dario Fo in quattro libri. Il suo nuovo volume, Complice la notte (Guanda), è la storia vera di una donna famosa, ribelle e dimenticata: Marija Judina, appunto, una delle grandi pianiste russe del Novecento. Nata ebrea, si converte prima alla rivoluzione socialista, poi, delusa, al cristianesimo ortodosso.
Gira nell’Urss di Stalin con un crocefisso al collo, sempre vestita con un lungo abito nero, ai piedi scarpe da ginnastica bianche, incongrue e allora del tutto inconsuete. Quello che guadagna con i concerti e con l’insegnamento nei Conservatori russi lo distribuisce per lo più ai poveri. È una ribelle. Comunista prima della presa del potere, mistica cristiana dopo l’affermazione di Stalin. Ascetica e libera di costumi, bizzarra e contraddittoria.
Artista sempre, musicista, interprete al pianoforte della grande musica di Bach, di Mozart, di Beethoven, che reinventa a ogni nuova esecuzione. Ma sente il dovere di suonare anche la musica dei nuovi autori, quelli che non piacciono al regime, Stravinskij, Berg, Messiaen, perfino gli eretici dell’Occidente, Boulez, Stockhausen, Nono. È amica di tutti i ribelli, da Bachtin a Mandelstam, da Evtusenko a Pasternak. Nella sua casetta alla periferia di Mosca, in una sera grigia di nebbia e di neve, Pasternak arriva guidato dalla luce di una candela messa a segnale sulla sua finestra e lì leggerà in pubblico, per la prima volta, un brano del Dottor Zivago, che in Urss non trova editore.
Per le sue idee religiose e le sue eresie musicali, la cacciano dal Conservatorio di Pietroburgo, ma poi la devono richiamare a insegnare a quello di Mosca. Prokofiev vuole lei al pianoforte quando dirige il suo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra. Stalin non le permette di uscire dall’Urss – per questo resta a lungo così sconosciuta in Occidente – ma non permette neppure che sia perseguitata. Ricorda le lacrime di una notte senza sonno. Le ricorda fino all’ultima notte della sua vita. Per sapere come, per capire che cosa unisce quelle due notti di Stalin – niente spoiler qui – conviene leggere il romanzo vero di Giuseppina Manin, donna libera come la pianista che racconta in questo suo libro.