Eni, assolti anche i mediatori dell’affare nigeriano
Il cerchio si è chiuso, ieri, con una sentenza d’appello che lava ogni peccato: assolti anche i due mediatori (Gianluca Di Nardo ed Emeka Obi) dell’affare Opl 245, il più grande campo petrolifero della Nigeria. Il cerchio si era aperto una dozzina d’anni fa, quando Obi, uomo d’affari nigeriano, aveva proposto per la prima volta l’affare a Di Nardo, in quanto amico di Luigi Bisignani – faccendiere e lobbista dalle molte vite, da Giulio Andreotti alla P2, fino alla cosiddetta P4 – che sapeva molto amico di Paolo Scaroni, allora amministratore delegato di Eni.
Un modo non proprio british di arrivare al vertice della compagnia petrolifera italiana, per far scattare, alla faccia della tanto sventolata compliance, l’affare del secolo: la vendita di una ricca licenza petrolifera da parte di un uomo politico nigeriano, Dan Etete, che se l’era autoassegnata quando era ministro del petrolio. L’affare comunque scattò, fino alla firma degli accordi e al pagamento da parte di Eni, nel 2011, di 1 miliardo e 92 milioni di dollari per la licenza esplorativa di Opl 245.
Poi arrivò la Procura di Milano a sostenere che si trattava di una colossale corruzione internazionale, in cui non un cent dei soldi pagati da Eni era restato allo Stato africano, perché tutto il malloppo era stato girato a politici nigeriani, ex ministri, faccendieri, intermediari.
Nel settembre 2018 il giudice dell’udienza preliminare Giusy Barbara emette la sentenza di primo grado per due imputati che avevano scelto il rito abbreviato: il nigeriano Obi Emeka e l’italiano Gianluca Di Nardo. Sentenza durissima per Eni, con i due mediatori condannati a 4 anni di carcere per concorso in corruzione internazionale e la confisca di 140 milioni di euro.
Intanto per tutti gli altri imputati (tra cui Scaroni e il suo successore Claudio Descalzi) era andato avanti il processo in rito ordinario, su cui hanno soffiato i venti cattivi delle polemiche tra magistrati milanesi a proposito della gestione di un imputato, Vincenzo Armanna, e di un possibile testimone, l’avvocato Piero Amara.
A marzo 2021, il Tribunale di Milano assolve tutti in primo grado. Ieri è arrivata la sentenza d’appello per i due mediatori già condannati in abbreviato: anch’essi dichiarati assolti (“perché il fatto non sussiste”), come aveva chiesto anche l’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale Celestina Gravina, con parole e argomentazioni e che avevano provocato lo stupore di molti colleghi e le proteste di tre autorevoli ex magistrati della Procura generale – Laura Bertolé Viale, Maria Elena Visconti e Salvatore Sinagra – che avevano firmato una lettera in cui avevano contestato le critiche rivolte da Gravina alle indagini.
Ora, con l’assoluzione di Obi e Di Nardo, è stata eliminata l’ultima anomalia in questa storia internazionale che odora di petrolio e di dollari, trattative e complotti. Saranno revocate anche le confische milionarie ai due uomini d’affari (94,8 milioni di dollari a Obi e 21,1 milioni di franchi svizzeri a Di Nardo), che ora potranno tornare in possesso dei soldi che ritengono essere il compenso della loro mediazione.
Durante la sua requisitoria, la pg Gravina aveva anche chiesto alla Corte d’appello, presieduta da Rosa Polizzi, l’invio degli atti alla Procura, per verificare un eventuale reato di calunnia commesso da Armanna. La Corte non ha seguito la richiesta.