La consegna dei verbali segreti a Davigo. Per denunciare il blocco delle indagini
di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli /
La consegna dei verbali in cui l’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara rivela l’esistenza di una presunta loggia Ungheria – ora al centro di un’indagine che ha scatenato un terremoto dentro la magistratura – avvenne a Milano. Lo ha confermato l’ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura Piercamillo Davigo ai pm romani che lo hanno sentito martedì come persona informata sui fatti. Chi gli ha portato quei verbali, nella sua casa di Milano, è Paolo Storari, magistrato della procura di Milano, convinto che i suoi superiori, il procuratore Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio, non volessero spingere l’acceleratore sull’inchiesta innescata dalle dichiarazioni dell’avvocato siciliano.
Davigo non ricorda se quei verbali gli furono consegnati a mano in una pen-drive o recapitati tramite posta elettronica, ma non ha dubbi sul tempo, la scorsa primavera, e la città, Milano, in quel momento completamente chiusa per il lockdown. Alla procura di Roma è arrivata una relazione del procuratore milanese Greco che – riferendo quanto gli avrebbe detto in un primo tempo Storari – colloca la consegna a Roma. Ora la versione di Davigo ha l’effetto di rendere la procura di Brescia, e non quella di Roma, competente per le indagini, perché è Brescia che deve indagare sui magistrati di Milano. Sabato il nodo sarà sciolto, con l’interrogatorio a Roma di Storari, intanto iscritto nel registro degli indagati per rivelazione di segreto d’ufficio.
Nel corso del suo interrogatorio di martedì davanti al procuratore di Roma Michele Prestipino e alla pm Lia Affinito, Davigo ha ripercorso tutti i passaggi di questa vicenda riferendo circostanze finora inedite, ricostruite dal Fatto anche con l’utilizzo di altre fonti. All’inizio di questa vicenda c’è Piero Amara, avvocato siciliano che ha già patteggiato una condanna per corruzione.
Dal dicembre 2019 al gennaio 2020 rende ai pm di Milano Pedio e Storari diversi interrogatori nei quali racconta dell’esistenza di una presunta loggia denominata Ungheria di cui farebbero magistrati, avvocati, politici, funzionari, ufficiali delle forze dell’ordine. Nelle settimane seguenti, Storari lamenta una inerzia delle indagini e la mancanza di formalizzazione dell’inchiesta, che resta per mesi (fino al 12 maggio 2020) senza alcuna iscrizione nel registro degli indagati.
Confida i suoi timori a Davigo, che gli consiglia – ha spiegato l’ex consigliere Csm ai pm capitolini – di mettere per iscritto il proprio dissenso ai superiori. Storari dice di averlo fatto con molte email inviate a Greco e Pedio. Al termine del lockdown, Davigo torna a Roma e dal 4 maggio riferisce della situazione di Milano ad alcuni membri del Csm. Al suo vicepresidente, David Ermini, consegna anche copia dei verbali. Ermini a sua volta avrebbe informato il Quirinale, porgendo poi a Davigo i ringraziamenti del Colle. Ermini al Fatto ha dichiarato: “Confermo solo che me ne parlò”.
Nella settimana successiva, Davigo informa anche Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione. Aprire una pratica formale, sostiene Davigo, avrebbe distrutto l’indagine, non riuscendo più a tutelarne il segreto. “Ho agito dunque nelle uniche forme consentite dalla particolarità della situazione”, ha spiegato. “Ho legittimamente ricevuto i verbali, perché il segreto non è opponibile a un consigliere del Csm”.
In ogni modo, dopo che Davigo parla con Salvi, questi prende contatto con Greco e la macchina delle indagini si riavvia. Viene coinvolta la procura di Roma, con Michele Prestipino, e quella di Perugia, competente per le toghe della capitale, con Raffaele Cantone.
Intanto i verbali segreti cominciavano ad arrivare in forma anonima ai giornali, al Fatto e poi a Repubblica. La procura di Roma individua la “postina”, Marcella Contrafatto, ex segretaria al Csm di Davigo, uscito intanto dal Consiglio e andato in pensione. Su questo, Davigo ha spiegato ai pm che di non sapere nulla, se non che la segretaria aveva accesso al suo computer. Nessun ritardo nell’iscrizione, nessuna inerzia nelle indagini, reagiscono alla procura di Milano. di Milano. Furono fatte decine di accertamenti, rallentati soltanto dal lockdown che bloccò per mesi gli uffici giudiziari.