La Corte dei conti: “37 milioni, il prezzo della corruzione di Formigoni”
Scherzi del destino (o della Provvidenza?): proprio mentre arriva in libreria un libro di 500 pagine in cui Roberto Formigoni tenta di riabilitare se stesso (Una storia popolare, con tanto di prefazione del cardinale Camillo Ruini), arriva anche la sentenza d’appello della Corte dei conti che, il 21 aprile, smonta ogni pretesa innocentista e rigetta il ricorso di Formigoni, confermandogli la condanna a pagare 47,5 milioni come risarcimento del danno, in solido con presidente e direttore della Fondazione Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, e con i mediatori Pierangelo Daccò e Antonio Simone.
Follow the money, segui il denaro: e i giudici contabili lo seguono con una precisione che diventa per Formigoni una disfatta. L’allora presidente della Regione Lombardia – scrivono i giudici – ha stretto un patto (c’è anche la data, indicata da Maugeri e Passerino: 6 settembre 2001) per organizzare un “sistema corrotto e corruttivo” in cui le cosiddette funzioni non tariffabili, sommamente discrezionali, venivano superpagate dalla Regione.
Così il denaro pubblico veniva “distratto in maniera illecita”, “sottratto alla sua destinazione per l’espletamento di funzioni sanitarie d’interesse pubblico” e dirottato per “formare oggetto di illecite dazioni a favore del presidente Formigoni e degli intermediari, nonché suoi amici personali, Daccò e Simone”. Il “contenuto delle delibere regionali è stato, con l’intermediazione del faccendiere Daccò, per così dire tagliato su misura delle esigenze economiche della Fondazione Maugeri”. “L’obiettivo perseguito e raggiunto era quello di ottenere, a parità di prestazioni, una maggiore remunerazione, accettando ovviamente di pagare un (sovra)prezzo: quello della corruzione”.
I giudici contabili della Corte dei conti: “Il prezzo della corruzione del presidente Formigoni è stato conseguentemente quantificato in euro 37.312.209,00”
I pagamenti alla Maugeri erano decisi personalmente da Formigoni: il suo è un “ruolo assolutamente centrale, vero e proprio deus ex machina, svolto in virtù del ruolo istituzionale e dell’indubbio carisma personale del presidente”, con un “sostanziale svuotamento del ruolo della dirigenza e dello stesso assessore alla sanità, estraneo al cerchio magico di Formigoni”. “Oggetto del patto corruttivo è stato il mercimonio della funzione del presidente, non la delibera finale adottata dall’organo collegiale”.
Così i soldi regionali entravano nelle casse della Maugeri, da cui sono poi usciti 71 milioni, “di cui 61.485.583 euro destinati a finanziare la corruzione degli amministratori regionali e degli intermediari”: Formigoni, Daccò e Simone. Nel periodo 2006-2011 “il prezzo della corruzione del presidente è stato conseguentemente quantificato in euro 37.312.209,00”.
Respinti i tentativi di Formigoni di conquistare la prescrizione contabile, sostenendo che debba essere calcolata a partire dalle delibere con cui la giunta ha finanziato le operazioni non tariffabili (2007-2010) e non dal suo rinvio a giudizio (2014). Niente da fare: si conta dal 2014. Provata “la distrazione delle risorse dal fine pubblico al quale erano destinate”. Accolto, in parte, solo il ricorso di Simone, a cui è revocato il sequestro conservativo: è sì il mediatore della corruzione, ha indicato lui alla Maugeri Daccò come strada per arrivare a Formigoni, ha messo a disposizione i conti all’estero per far sparire i soldi della Fondazione, ma non è “agente contabile di fatto”, perché “non ha disposto materialmente del denaro pubblico”.
Leggi anche:
Torna il vitalizio al “povero” Formigoni