Eni-Nigeria. I giudici assolvono Descalzi & C. dall’accusa di corruzione
Assolti, “perché il fatto non sussiste”. Non c’è stato alcun accordo corruttivo per aggiudicarsi la licenza dell’immenso campo petrolifero Opl 245, in Nigeria. Questa è la fulminate sentenza letta in aula dal presidente della settima sezione penale del Tribunale, Marco Tremolada (giudici a latere Mauro Gallina e Alberto Carboni). Assolto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. Assolto il suo predecessore, Paolo Scaroni. Assolti i manager Eni Roberto Casula, Ciro Antonio Pagano, Vincenzo Armanna. Assolti i mediatori Luigi Bisignani, Ednan Agaev, Gianfranco Falcioni. Assolti i manager Shell Malcom Brinded, Peter Robinson, Guy Colgate e John Coplestone. Assolte, infine, le società Eni e Shell.
Finisce così un’inchiesta, aperta otto anni fa, su quella che per la Procura di Milano, rappresentata in aula dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal sostituto Sergio Spadaro, era la più grande corruzione internazionale mai scoperta. La storia, uscita dalle aule di giustizia, potrebbe ora diventare un grande film con George Clooney, dove manager e spie internazionali, politici e faccendieri intrecciano una danza in cui i soldi, tanti soldi, scorrono tra Milano, Londra, Lugano, Beirut, Abuja.
Tutto inizia nel 2010, quando un uomo d’affari nigeriano, Emeka Obi, propone a un italiano con affari in giro per il mondo, Gianluca Di Nardo, di entrare nella mediazione di un grande business internazionale: l’acquisto della licenza Opl 245, un campo d’esplorazione petrolifera al largo delle coste nigeriane. Di Nardo è amico di Luigi Bisignani (iscritto alla P2, più volte indagato e condannato per corruzione) e Bisignani è legato a Paolo Scaroni, allora amministratore delegato di Eni.
Il contatto funziona: Obi, Di Nardo e Bisignani fanno incontrare Scaroni con Dan Etete, ex ministro del Petrolio nigeriano, che nel 1998, quando era al governo, aveva fatto assegnare la licenza Opl 245 a una sua società, Malabu: cioè a se stesso, al prezzo stracciato di 20 milioni di dollari. Si apre una trattativa che va avanti per mesi. Coinvolge, oltre a Obi ed Etete, l’allora numero due di Eni, Descalzi, e i suoi dirigenti in Nigeria, Casula e Armanna. Torna nell’affare anche Shell, che negli anni precedenti aveva già tentato (invano) di acquisire quel campo petrolifero.
A novembre 2010 la trattativa s’inceppa. Eni si convince di non poter comprare la licenza da un ex ministro che se l’è intestata. Etete, oltretutto, era già stato condannato per riciclaggio in Francia. C’è un altro motivo, aggiungono i pm d’accusa, per cui lo schema salta: Bisignani si allarma quando viene a sapere di essere stato intercettato (per tutt’altra vicenda, l’indagine dei pm di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio sulla cosiddetta P4).
Nelle intercettazioni parlava anche dell’affare nigeriano che era in corso e che aveva per protagonisti gli amici Scaroni e Di Nardo, “il ragazzo della giungla” (Obi), “il Ciccione (Dan Etete)”, “il signor Fortunato” (l’ex presidente della Repubblica Goodluck Jonathan). A fine 2010, Eni cambia lo schema dell’affare. Bisignani viene escluso e all’operazione “viene messo il preservativo”, come scrive The Economist in un articolo intitolato “Safe sex in Nigeria”: la trattativa è chiusa da Eni e Shell direttamente con il governo nigeriano. I giudici non hanno creduto all’accusa, secondo cui esisteva un patto corruttivo e il governo era “puro ‘dispositivo di protezione’ per evitare alle due società petrolifere rapporti diretti con un ex ministro del petrolio già condannato per riciclaggio”.
Ad aprile 2011 Eni e Shell firmano l’accordo con il governo. Prezzo stabilito: 1,3 miliardi di dollari. I soldi sono versati da Eni su un conto Jp Morgan aperto a Londra dal governo nigeriano. Poi però il denaro, 1,092 miliardi di dollari, si sposta. Il ministro nigeriano delle Finanze tenta di trasferirli, prima su un conto Bsi a Lugano, poi su una banca di Beirut. Respinti per sospetto riciclaggio. Nell’agosto 2011, JpMorgan riesce a spostarli su due conti nigeriani (presso la First Bank of Nigeria e presso Keystone Bank) di Malabu Oil and Gas.
Da lì, Dan Etete li smista su diversi conti. Una grossa fetta è per sé; altre per gli ex ministri Adoke Bello e Bajo Ojo; 500 milioni sono ritirati e poi movimentati in contanti; 1,2 milioni sono girati ad Armanna; 215 milioni sono rivendicati da Obi come compenso della sua mediazione e gli sono riconosciuti da un tribunale di Londra. Quello che è certo è che neppure un cent resta allo Stato nigeriano. Nel Paese africano il 43 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Dalla Nigeria proviene la maggioranza dei migranti africani che arrivano in Italia (80 mila negli ultimi cinque anni, di cui 22 mila minori). Ma Eni non ha commesso alcun reato, dice la sentenza.
Festeggiano e si abbracciano in aula le decine di avvocati delle difese. Soddisfatte Eni e Shell. Protesta Re:common, la ong che con le organizzazioni sorelle Global Witness e The Corner House nel 2013 ha dato il via all’indagine, con un esposto sul caso Opl 245: “La sentenza è molto deludente, ma non ci fermerà nel nostro sforzo di portare queste aziende a rispondere delle loro azioni. Attendiamo le motivazioni della sentenza e le spiegazioni che il Tribunale darà alle pesanti ombre emerse su questa vicenda nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Ci auguriamo che il probabile processo d’appello possa ribaltare quanto deciso in primo grado”.