Graviano: “Berlusconi investì soldi della mia famiglia”
È un movimento di soldi che vanno e vengono. Tra Nord e Sud, tra Milano e Palermo. Protagonisti: Silvio Berlusconi e gli uomini di Cosa nostra. I soldi che vanno dalla Lombardia alla Sicilia sono raccontati nella sentenza definitiva che ha condannato Marcello Dell’Utri: sono il pagamento (50 milioni di lire l’anno) della “protezione” che Berlusconi, attraverso Dell’Utri, ha chiesto alla mafia: per sé, i suoi familiari, i suoi business, le sue antenne in Sicilia. Con Vittorio Mangano che sale da Palermo ad Arcore per garantire il patto.
Ma ci sarebbero anche i soldi che da Palermo risalgono a Milano, come investimenti che Cosa nostra avrebbe fatto negli affari del Biscione: nell’immobiliare prima e nella tv poi. Su questo non ci sono certezze cristallizzate in sentenze definitive. L’ultimo a parlarne è Giuseppe Graviano, su cui i magistrati di Firenze stanno ora indagando per capire se è vero, per esempio, che 20 miliardi di lire della sua famiglia siano stati affidati all’allora presidente della Fininvest e “investiti nel settore immobiliare”. È solo una provocazione, una strategia per intorbidare le acque e tentare di nascondere le responsabilità dei Graviano nelle stragi del 1992-93?
Certo è che una lunga storia, quella delle accuse a Berlusconi di aver avuto Cosa nostra come socio d’affari. Il più pittoresco nel racconto fu Filippo Alberto Rapisarda, discusso finanziere siciliano impiantato a Milano. Testimoniò che nel 1978 Berlusconi aveva incontrato l’allora capo dei capi di Cosa nostra, Stefano Bontate, accompagnato da Mimmo Teresi: “Teresi e Bontate mi dissero che dovevano andare da Dell’Utri, il quale aveva loro proposto di entrare nella società televisiva che di lì a poco Berlusconi avrebbe costituito. Teresi mi disse che occorrevano 10 miliardi di lire”.
Lo confermò Antonino Giuffré, braccio destro di Bernardo Provenzano: “Con la scusa di andare a trovare Mangano, Bontate si era spostato da Palermo a Milano per incontrare ad Arcore l’imprenditore emergente Silvio Berlusconi”. Rapisarda, chiuso nella struggente palazzina cinquecentesca di via Chiaravalle, a cento passi dal Duomo, dove nel 1994 nacque il primo club di Forza Italia, si lasciò andare in alcune interviste e davanti ai giudici, ultimi quelli del processo palermitano a Dell’Utri. Ma poi ha sempre fatto marcia indietro, in un eterno stop and go della memoria.
A chi scrive raccontò, anni fa, tra un corridoio e il grande salotto della palazzina di via Chiaravalle: “Vede? Questo era l’ufficio di Marcello Dell’Utri. Era un mio uomo, lavorava per me. Poi mi ha tradito ed è tornato a lavorare per un giovane palazzinaro, un certo Silvio Berlusconi. Si è portato via i miei progetti: all’epoca volevo costruire una tv privata. E si è portato via i rapporti, i contatti, i finanziamenti… Vede questa porta? Io un giorno entrai senza bussare. Era l’ufficio di Marcello, ma lui era un mio dipendente e questa in fondo è casa mia. Appena entrato, mi blocco: c’erano due signori palermitani che io conoscevo bene. Uno era Stefano Bontate, allora capo di Cosa nostra. Sulla scrivania un grande sacco da cui venivano rovesciati fuori soldi, tanti soldi. Un fiume di banconote”.
Una incredibile scena da film? Un ricatto? Rapisarda si disse disponibile a ripetere il racconto davanti a una telecamera: “Ma certo! Possiamo ricostruire la scena proprio come avvenne”. Poi cominciò un’estenuante trattativa sul giorno e sull’ora e alla fine non se ne fece nulla.
Rapisarda, morto nel 2011, portò con sé nella tomba i suoi segreti e i suoi ricatti. Restano i misteri sull’origine delle prime fortune di Berlusconi e soprattutto sui soldi che entrarono nelle sue società all’inizio della sua irresistibile ascesa imprenditoriale. Le anonime società svizzere che finanziarono la sua Edilnord. E poi la Fininvest, nata il primo giorno di primavera del 1975, in cui via via entrarono molti soldi (circa 16 miliardi di lire dell’epoca). Nel 1978 nacquero 23 società chiamate Holding Italiana Prima, Seconda, Terza eccetera in cui affluirono 93 miliardi di lire dell’epoca. Molte operazioni finanziarie cruciali in questa storia sono realizzate in quegli anni da un operatore siciliano di nome Giovanni Del Santo.
Ma nessuna certezza è stata raggiunta in tanti anni di indagini, a partire da quella della Procura di Palermo che affidò una consulenza all’ex funzionario di Bankitalia Francesco Giuffrida. Ora è la volta delle parole di Graviano.