CORONAVIRUS

Un anno dopo la strage della Valseriana: “La Lombardia non ha imparato niente”

Un anno dopo la strage della Valseriana: “La Lombardia non ha imparato niente” Consuelo Locati, che assiste il Comitato ''Noi denunciamo'', in procura a Bergamo durante il Denuncia Day, Bergamo, 10 giugno 2020. ANSA/ FILIPPO VENEZIA

La vita cambiata per sempre, quella privata e quella pubblica. Consuelo Locati, di Seriate, avvocato e figlia. “Mio padre Vincenzo l’abbiamo visto per l’ultima volta il 22 marzo. Quella notte è stato portato alla clinica Gavazzeni di Bergamo. Poi più niente. Ho potuto riabbracciare l’urna con le sue ceneri il 20 aprile”. Da avvocato, Consuelo fa parte del team legale che assiste i famigliari delle vittime del Covid.

A un anno dall’esplosione della pandemia nella zona di Bergamo, quali ricordi le restano più impressi?

L’annuncio dei primi due casi di contagio nell’ospedale di Alzano Lombardo, il 23 febbraio; l’esercito che arriva in zona, ai primi di marzo; e poi le telefonate, tante, continue, che annunciavano la morte di persone che conoscevamo o che ci erano vicine. Fino a quando è toccato anche a papà. Morto da solo il 27 marzo.

Com’è nato l’impegno pubblico dell’avvocato Locati?

Quando mio padre è stato portato via, io vagavo in internet per cercare di non pensare a papà. Mi sono imbattuta nel gruppo Facebook “Noi Denunceremo” che era appena stato creato. Sono subito entrata e insieme a Luca Fusco ho creato il comitato. Le persone colpite e i loro famigliari, da quella pagina chiedevano non solo di poter raccontare il loro dolore, ma anche di “fare qualcosa”: per capire se ci fossero responsabilità. Con altri avvocati abbiamo costituto il team legale che ha redatto circa 300 esposti individuali che gli interessati hanno potuto depositare alla Procura di Bergamo. Poi sulla mancanza di un piano pandemico abbiamo avviato anche una causa civile presso il Tribunale di Roma.

Negli ultimi giorni la Lombardia ha chiuso in zona rossa quattro Comuni. È la prova che si poteva fare anche un anno fa, quando non fu chiuso il focolaio di Alzano e Nembro.

Il 7 settembre 2020, il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, Agostino Miozzo, ha ammesso: “Sì, ma chiudere quell’area significava fermare un polmone economico del Paese. Forse avremmo salvato qualche vita, ma è facile sentenziare col senno di poi”. A me pare un’ammissione gravissima. Poteva chiudere il governo, lo potevano fare la Regione e le autorità locali che sono sul territorio e conoscono la situazione. Oggi la Lombardia sostiene che le zone rosse attuali sono state fatte in forza di un Dpcm del gennaio 2021. Peccato che già ci fosse un Dpcm del 23 febbraio 2020 che all’articolo 1 disponeva che le autorità locali potessero intervenire immediatamente.

Non lo hanno fatto. E Bergamo è diventata l’area con più morti e infetti d’Europa.

Davvero: la Wuhan dell’Occidente. Eppure già il 30 gennaio 2020 una circolare del ministro Speranza disponeva che il Covid fosse trattato “come la peste”. E il 28 febbraio una email del consulente del Cts Stefano Merler comunicava alla Regione l’aumento dei casi proprio in territorio bergamasco. Si sapeva. Ma noi siamo stati lasciati soli. I numeri d’emergenza erano sempre occupati, le ambulanze non si trovavamo, le bombole d’ossigeno erano finite. Abbiamo sperimentato l’isolamento, l’abbandono, la disperazione di non riuscire a salvare chi moriva davanti ai nostri occhi. Non so come abbiamo potuto superare quei momenti, comunque i danni psicologici in noi sopravvissuti sono pesanti. Siamo superstiti di guerra.

Ora il vostro team legale chiede un indennizzo per le vittime.

Sì, una legge che riconosca un indennizzo, perché le responsabilità dei contagi e delle morti non sono dei cittadini, ma delle istituzioni. È come nel caso del sangue infetto che fece ammalare centinaia di persone.

La lezione ci è servita?

No. Non abbiamo imparato niente. A Milano, a Monza, a Lecco, a Varese, a novembre si è ripetuto quello che era già successo a marzo-aprile a Bergamo.

Lei è uscita dal comitato “Noi Denunceremo”.

Sì. Non voglio che le morti e le sofferenze siano usate per fini politici.

Il Fatto quotidiano, 23 febbraio 2021
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