Bologna, le motivazioni della condanna: “Strage di Stato, altro che spontaneismo”
Un anno dopo la sentenza, il presidente della Corte d’assise Michele Leoni deposita le motivazioni della condanna all’ergastolo inflitta a Gilberto Cavallini: 2.118 pagine minuziose, accurate e preziose che ricostruiscono il disegno della strage di Bologna e spiegano perché Cavallini va considerato, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, responsabile degli 85 morti e oltre 200 feriti della bomba piazzata il 2 agosto 1980 alla stazione. Insieme ai già condannati definitivi Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, di cui vengono smontate le bugie, le reticenze e i depistaggi.
Sono loro i responsabili, ribadisce Leoni, di “una strage politica, o, più esattamente, di una strage di Stato”. Anche se, per motivi tecnico-giuridici, la Corte è costretta a condannare in base all’articolo 422 del codice penale (strage “comune”) e non 285 (strage politica con finalità eversive): per colpa della Procura di Bologna, che nel capo d’imputazione di Cavallini ha inserito il termine “spontaneista” che “costituisce una negazione della strage politica, alias di Stato”, e ha “funzionato come clausola di sbarramento per una pronuncia di colpevolezza di Cavallini per strage politica o di Stato”. Con quella parola, “la pubblica accusa ha circoscritto lo spazio dell’incriminazione all’operatività di una cellula terroristica autonoma, estranea da concreti programmi di sovversione istituzionale”.
Ma di strage di Stato si tratta, ribadisce il giudice, malgrado l’“ottica minimalista” della Procura, che “riconduce tutto alla dimensione autarchica di quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo (con le bombe, ma anche con il solito corteo di coperture e depistaggi)”. Un’impostazione, sottolinea secco Leoni, che “lascia perplessi, anche perché non si sa attraverso quale percorso istruttorio e/o processuale si sia approdati a ciò”.
Altro che “spontaneismo”: Gilberto Cavallini “era tutt’altro che uno ‘spontaneista’ confinato in una cellula terroristica autonoma”. “Risulta chiaro che, con i suoi ‘collegamenti’, era pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate”, come i suoi complici e come tutti i capi dell’eversione di destra, ben collegati agli apparati dello Stato.
“Non si capisce come mai, nel variegato panorama del terrorismo di destra, Tuti, Concutelli, Delle Chiaie, Graziani, Massagrande, i vari capi di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale, Fachini, nonché Fiore e Adinolfi, fossero tutti compromessi con i Servizi e con altri poteri dello Stato, e solo i Nar (Cavallini compreso) facessero eccezione”. Nessuna eccezione, invece: è escluso che i Nar “fossero gli unici portatori di una verginità di intenti”, visto che avevano rapporti con Ordine Nuovo (Cavallini era legato a doppio filo con uno dei suoi leader, Massimiliano Fachini) e con esponenti di vertice di Terza Posizione (Roberto Fiore e Giorgio Vale). “Vi sono molti elementi per affermare che i Nar erano vicendevolmente integrati con personaggi e organizzazioni della stessa estrazione”. E “una miriade di dichiarazioni depone per una radicata compromissione fra terrorismo, P2 e Servizi segreti”.
Nessuna attendibilità hanno la “pista palestinese”, le “piste internazionali” e i variopinti depistaggi resuscitati come alternative alla strage nera: piste “tutte fungibili come pezzi di ricambio, per nulla imparentate l’una con l’altra, salvo che per un comune intento: negare la responsabilità di terroristi di destra italiana, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere”.
Cavallini “sapeva perfettamente che la strage” si sarebbe “inquadrata in un progetto destabilizzante” che “poteva costituire il primo passo verso la restaurazione di una forma di Stato tipo Reich, che egli idolatrava apertamente”. La strage di Bologna avviene il 2 agosto perché quella data “segna una ricorrenza storica e fondante nella storia del nazismo: la fine della Repubblica di Weimar” e l’assunzione da parte di Hitler del titolo di Fuhrer.
Soddisfatti i legali dell’Associazione familiari delle vittime, Andrea Speranzoni e Roberto Nasci: “La motivazione depositata rappresenta un atto di monumentale importanza che rende giustizia alle vittime”.
Tra i tanti testi che la Corte chiede siano indagati per falsa testimonianza (da Fioravanti a Ciavardini), c’è anche il generale Mario Mori: a lui è dedicato un paragrafo della sentenza in cui sono elencate le sue tante contraddizioni a proposito della sua gestione delle indagini sull’eversione nera.
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