Milano, crollo nelle classifiche. Tutta colpa del Covid?
Dodici mesi fa, quando Milano si era confermata, per il secondo anno consecutivo, prima nella classifica italiana della qualità della vita, erano squillate le trombe e le trombette, erano rullati i tamburi e i tamburelli. Il sindaco Giuseppe Sala si era detto “soddisfatto e fiero”, intestandosi di fatto il merito dell’ottimo risultato. Intendiamoci: le classifiche dipendono da come sono raccolti i punteggi, dai criteri con cui sono organizzate le valutazioni; ma restano comunque un’indicazione che può essere utile per capire la realtà.
La classifica in questione è quella realizzata ogni anno dal Sole 24 ore, che nel 2018 e nel 2019 aveva decretato Milano migliore città d’Italia per qualità della vita. Quest’anno, la stessa classifica, realizzata con gli stessi criteri, ci dice che il capoluogo lombardo è precipitato al dodicesimo posto. Giù dal podio. Fuori anche dalla top ten. Reazioni? Trombe e tamburi silenziosi, sindaco taciturno. Un anno fa il giornalismo ciarliero, la politica d’asporto e gli intellettuali da compagnia erano tutti un cinguettare di dichiarazioni soddisfatte e felici. Oggi: tutti zitti. Eppure giornalismo, politica e intelligenza dovrebbero servire a capire, più che le vittorie, le crisi e le sconfitte.
Non siamo felici per questo crollo: Milano è una città che si ama quando è grigia e dolorante, ancor più di quando è luminosa e scintillante. Ma fa male vedere le sue luci spente, i locali chiusi, tante attività ferme, le code che si allungano fuori dalle mense per i poveri. Che cosa è successo? La pandemia ha spento per mesi la città. Le sirene delle autoambulanze hanno sostituito la musica dei locali. La prima ondata del virus ci ha lasciato silenziosi e attoniti; la seconda ci ha trovato ancora impreparati e ha fatto più danni della prima, più contagi, più morti. Il Pil pro capite – la ricchezza media prodotta da ciascun milanese – è crollato. Si è ridotto lo spazio abitativo medio a disposizione, diventato 51 metri quadrati per famiglia. È aumentata la cassa integrazione. E Milano è diventata la capitale dell’area più colpita d’Europa dal virus.
Ancora peggio è andata nell’altra classifica delle città italiane, quella compilata, come ogni anno, da Italia Oggi. Ha introdotto questa volta tre indicatori per rilevare l’incidenza della pandemia nella qualità della vita, i contagi registrati, l’aumento della mortalità: ed ecco Milano finire addirittura al quarantacinquesimo posto. Sedici gradini più giù del risultato dello scorso anno.
Non ci può consolare l’argomento: è tutta colpa del virus. Il virus c’è (purtroppo) anche nelle altre 11 (o 44) città che quest’anno hanno superato Milano. Dobbiamo capire che cosa è successo, perché tanta retorica dell’eccellenza si sia dimostrata così fragile, perché il place to be magnificato dalla politica si sia rivelato così friabile. Se il crollo è stato davvero così clamoroso, significa che i successi esibiti erano incerti, che la spocchia della metropoli cool nascondeva già i segni della fragilità.
Milano aveva nel suo corpo un virus che si era sviluppato silenziosamente molto prima dell’arrivo del Covid-19: il virus della disuguaglianza. Il lunapark del successo esibiva le sue luci colorate, intanto però i ricchi diventavano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Poi è arrivato il Covid, e il gioco di specchi non ha retto più. Il sindaco, nel momento glorioso della riconferma di Milano capitale del buon vivere, un anno fa, aveva dichiarato: “Dopo la gioia, viene il dovere, quindi c’è da lavorare affinché i benefici si allarghino a più parte della cittadinanza. Sto parlando di maggiore equità sociale e sono consapevole che ciò si intreccia con la differenza della qualità di vita fra centro e periferie. Stiamo lavorando su tutti i quartieri della città, per cambiare radicalmente le cose”. Obiettivo mancato. Oggi Milano deve ripartire: meno retorica, meno marketing politico, più fatti.
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