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Eni, la super-causa per mettere il bavaglio al “Fatto quotidiano”

Eni, la super-causa per mettere il bavaglio al “Fatto quotidiano” Foto Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli/LaPresse 11-05-2017 Milano - Italia Politica Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni visita lo stabilimento ENI di Milano DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE - Obbligatorio citare la fonte ©LaPresse/Palazzo Chigi/Tiberio Barchielli

La più grande causa civile che il Fatto abbia mai subìto. Ce l’ha intentata Eni: non per un singolo articolo ritenuto diffamatorio, ma per l’intera produzione di articoli, inchieste, cronache politiche, interventi, commenti, perfino schede e calendari giudiziari riguardanti la compagnia petrolifera che abbiamo pubblicato negli ultimi anni.

Nelle 63 pagine dell’atto di citazione civile sono messi in fila ben 29 articoli, indicati come denigratori e diffamatori, tanto da meritare una richiesta di danni per 350 mila euro, a cui aggiungere una non precisata sanzione pecuniaria per il direttore del Fatto e una ridicola “restituzione dell’illecito arricchimento” che il nostro giornale avrebbe conseguito per il solo fatto di scrivere di Eni. Poi, censura finale: richiesta di rimuovere dal web tutti gli articoli del Fatto su Eni sgraditi a Eni.

È un attacco mai visto che proviene dalla potentissima compagnia petrolifera italiana, che – non dimentichiamolo – è a controllo pubblico. E che si aggiunge a una causa da 5 milioni per il libro di Claudio Gatti Enigate (Paper First). Eni è da sempre una grande protagonista delle cronache italiane e internazionali: economiche, finanziarie, politiche, giudiziarie. Fin dai tempi delle vicende Eni-Petromin, conto Protezione, Eni-Sai, Enimont.

Anzi, fin dai tempi del suo fondatore, Enrico Mattei (incautamente richiamato nell’atto di citazione dai suoi attuali successori pro tempore, nani al confronto di un gigante forgiato nel fuoco della guerra partigiana ed eroe della ricostruzione italiana, che comunque riusciva a pronunciare frasi del tipo: “Io uso i partiti come taxi. Pago la corsa e scendo”. Tanto da meritarsi l’indimenticabile definizione di Montanelli: “L’incorruttibile corruttore”).

Nel nostro meno epico presente, Eni è stata coinvolta in alcune grandi inchieste giudiziarie. Su presunte corruzioni internazionali in Algeria, in Nigeria, in Congo; su questioni ambientali in Basilicata; su un complesso “complotto” che sarebbe stato messo in scena per infangare un paio di membri del cda e intorbidare e rallentare le inchieste della Procura di Milano; sul conflitto d’interessi dell’attuale amministratore delegato, accusato di non aver comunicato che società internazionali secondo la Procura di Milano riconducibili alla moglie hanno fornito servizi a Eni, incassando negli anni 300 milioni di dollari.

È dunque normale che un giornale attento alla realtà abbia dedicato alla più strategica delle aziende italiane molti articoli, nessuno dei quali è mai stato ritenuto diffamatorio dalla compagnia al punto da rendere necessaria una querela. Negli ultimi mesi c’è stato poi il dibattito pubblico sulla riconferma al vertice dell’amministratore delegato, imputato e indagato in due diverse inchieste giudiziarie. È quindi naturale che il Fatto abbia riservato a queste vicende la necessaria attenzione: per denunciare un conflitto d’interessi in famiglia che sarebbe inaccettabile in qualunque Paese civile; e per sostenere con vigore l’inopportunità della riconferma di Claudio Descalzi al vertice di una società a controllo pubblico.

È evidente che la richiamata “difesa della storia e delle origini di Eni” si fa non silenziando le inchieste giornalistiche, né promuovendo azioni giudiziarie che si concluderanno tra molti anni, ma ripulendo subito l’azienda dalle incrostazioni e chiudendo con personaggi compromessi, indagati, imputati, o semplicemente unfit, impresentabili per motivi reputazionali. A parlare di “tangenti e mazzette”, scandali e “complotti” – non certo invenzioni del Fatto ­– sono le autorità giudiziarie, che contestano ai vertici Eni, per esempio, la più grossa tangente mai raccontata (1,092 miliardi di dollari che sarebbero stati pagati nella vicenda nigeriana per ottenere il campo petrolifero Opl 245).

Il nostro giornale ha soltanto raccontato i fatti e allineato legittime opinioni, dando conto degli argomenti dell’accusa e di quelli della difesa. Non ha fatto “propaganda politica” (per chi?), non ha condotto una “campagna denigratoria e diffamatoria”, ma ha esercitato un diritto-dovere di informazione e di controllo sui beni pubblici garantito dalla Costituzione.

Si chiama giornalismo, evidentemente insopportabile per Eni, abituata a essere trattata con reverenza dalla stampa in nome dell’“interesse nazionale” e degli ingenti investimenti pubblicitari distribuiti a giornali e tv. La compagnia non sopporta critiche e opinioni avverse. Così ha intentato una causa civile omnibus che rischia di diventare la replica della somma di tutti i procedimenti penali e civili aperti a Milano e a Londra (dove è stata trascinata in giudizio dallo Stato della Nigeria).

Tutto ciò dimostra quanto fossero ridicoli gli strepiti di chi ha scritto che, con il rinnovo del consiglio d’amministrazione, il Fatto aveva “conquistato Eni”, con l’arrivo come presidente della professoressa Lucia Calvosa, già componente indipendente del cda del Fatto. Stiano tranquilli, nei palazzi di San Donato: noi non ci lasceremo intimidire e, avendo come unico padrone i lettori, continueremo a fare il nostro mestiere che si chiama giornalismo. (Il Fatto quotidiano, 4 dicembre 2020)

 

La solidarietà delle associazioni internazionali

Solidarietà al Fatto quotidiano da parte di quattro organizzazioni non governative internazionali: Global Witness, Heda, Re:common e The Corner House s’impegnano a sostenere il nostro giornale e a segnalare nelle sedi internazionali la causa civile promossa da Eni contro il Fatto. “Date le numerose accuse di corruzione contro l’azienda”, scrivono le quattro ong, “il Fatto è da lodare per aver fatto luce sull’attività  di Eni. Il controllo dei potenti, nell’interesse pubblico, è il primo dovere della stampa. Il pubblico ha il diritto di sapere che Eni è accusata di corrompere i politici. La candida sensibilità dell’azienda e dei suoi dirigenti non deve ostacolare la diffusione di tali notizie”.

La causa civile intentata al Fatto da Eni riguarda non un singolo articolo ritenuto diffamatorio, ma l’intera produzione di articoli, inchieste, cronache politiche, interventi, commenti, perfino schede e calendari giudiziari riguardanti la compagnia petrolifera, pubblicati dal nostro giornale negli ultimi anni. Le 63 pagine dell’atto di citazione civile allineano ben 29 articoli, indicati come denigratori e diffamatori, tanto da meritare una richiesta di danni per 350 mila euro, a cui aggiungere una non precisata sanzione pecuniaria per il direttore del Fatto e una ridicola “restituzione dell’illecito arricchimento” che il nostro giornale avrebbe conseguito per il solo fatto di scrivere di Eni.

Poi, censura finale: richiesta di rimuovere dal web tutti gli articoli del Fatto su Eni sgraditi a Eni. “Molti giornali”, continuano le ong, “si trattengono dal denunciare la corruzione per la minaccia di azioni legali o per timore che le società possano ritirare la pubblicità. Il Fatto si è rifiutato di farsi intimidire in questo modo. Ha coraggiosamente messo l’interesse pubblico al primo posto e la difesa di tale interesse dovrebbe essere una preoccupazione per tutti noi. La libertà di stampa e la libertà di espressione sono tra i principali baluardi che difendono la democrazia contro l’autoritarismo. Siamo quindi solidali con il Fatto e lo elogiamo per aver resistito ai tentativi di metterlo a tacere”.

Concludono le ong: “Ricordiamo all’Eni che qualsiasi danno alla sua reputazione è dovuto all’Eni stessa, per le numerose accuse di corruzione che la circondano, e non al Fatto per averle rese pubbliche. Seguiremo passo passo la vicenda e ci impegneremo a fare tutto il possibile per supportare il giornale, se richiesti, anche in sede processuale. Esortiamo tutti a fare altrettanto e a pubblicizzare la propria solidarietà”. (Il Fatto quotidiano, 24 gennaio 2021)

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Il Fatto quotidiano, 4 dicembre 2020
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