Quando il virus viene trasformato in arma politica
Non è andato tutto bene. E non ne stiamo uscendo migliori. Peggiori, invece, più cinici e incattiviti. La seconda ondata ha tirato fuori il peggio dalla politica, ma anche da quella che chiamavamo società civile. I negazionisti, intendiamoci, esistono in tutto il mondo, una minoranza terrapiattista per cui il Covid è un complotto planetario di non si sa quali poteri occulti si fa sentire in varie parti del globo. Ma solo in Italia si vede un uso così cinico e al tempo stesso contraddittorio del virus per fare lotta politica.
Nel primo tempo di questo teatro dell’assurdo, una composita schiera di politici, amministratori, presunti virologi, opinionisti a comando e leoni da tastiera minimizzavano il pericolo, protestavano contro le chiusure, attaccavano il governo che cercava di imporle. Sfoderando un ventaglio d’argomenti che andavano dalla negazione dell’emergenza, dal virus “clinicamente morto” (Zangrillo), “inutile chiudere tutto, gli asintomatici non sono malati” (Bassetti), fino alla solita “Milano non si ferma”, “così si uccide l’economia”.
L’economia muore se si lascia tutto aperto, permettendo che la pandemia diventi un’ecatombe. Fa più danni alle attività commerciali la manica larga ora, che ci costringerà a chiudere a Natale, che non la fermezza immediata necessaria per bloccare rapidamente la progressione dell’infezione. Basta il buonsenso per capirlo: un intervento drastico, ma tempestivo (e temporaneo), può bloccare un interminabile aumento dei contagi, dei ricoveri, dei morti. Invece prevale l’ideologia e la cattiva fede. Perché l’obiettivo di molti non è fermare il virus, ma far cadere il governo.
Gli errori vanno sempre denunciati, chiunque li compia. Ma anche in questa partita scatta il metodo dei due pesi e due misure: inflessibili contro gli errori e le sottovalutazioni governative, che pure ci sono, mentre non si vede la trave delle amministrazioni regionali, che hanno la competenza della sanità, anche in tempi d’emergenza.
Soprattutto la Regione Lombardia ha inanellato una serie d’errori da brivido. All’impreparazione con cui ha affrontato la prima ondata della pandemia si è aggiunta la disfatta con cui ha subìto la seconda, prevedibilissima ondata (tracciamento contagi inadeguato, medici Usca per l’assistenza a domicilio insufficienti, trasporti per le scuole non rafforzati, medici tolti agli ospedali che funzionano per mandarli all’ospedale-spot in Fiera, vaccini antinfluenzali che mancano…). Tutto invisibile, a chi vuole usare il virus, i malati, i morti soltanto come arma per attaccare il governo.
Ora è scattato il secondo tempo del teatro dell’assurdo. Ormai impossibile (tranne che per una minoranza complottista) negare, minimizzare, chiedere di tenere tutto aperto: ci sono i contagi che aumentano ogni giorno, e soprattutto i ricoveri, le terapie intensive, i morti. Scatta allora l’effetto ammuina, con i sindaci (come Giuseppe Sala) e i presidenti di Regione (come Attilio Fontana) che tirano in lungo, filosofeggiano, fanno scaricabarile, aspettano che a decidere siano altri per poi attaccarli comunque.
“La zona rossa? Uno schiaffo alla Lombardia”, declama Fontana. “I criteri per definire le zone? Troppo complicati”, aggiunge Sala. Milano brucia, i medici chiedono la chiusura totale e il lockdown nazionale e loro spaccano il capello in quattro, pensano ai voti dei commercianti, invece di pensare a mantenerli sani e in vita insieme ai loro clienti, cioè a tutti noi. Vorrebbero distinguere, chiudere solo qui e non lì, lasciare aperto dove ci sono meno contagi, distinguendo non solo per regione, ma per provincia, per comune, per caseggiato, la scala A chiusa, la scala B aperta. Mandano segnali, giocano con la comunicazione, cercano il consenso. Chissà se mai qualcuno chiederà loro il conto finale di comportamenti confusi, cinici, criminali.