Coprifuochino, mentre Milano brucia
di Gianni Barbacetto e Andrea Sparaciari /
Coprifuoco dalle 23 alle 5 del mattino in tutta la Lombardia, a partire da giovedì e per tre settimane. Riunione tesa, ieri sera, in Regione Lombardia. Tema: Milano e i contagi ormai fuori controllo. Il presidente Attilio Fontana, il sindaco Giuseppe Sala, i sindaci dei capoluoghi lombardi, il presidente dell’Anci Mauro Guerra e i capigruppo di maggioranza e opposizione si sono confrontati con le richieste del Comitato tecnico-scientifico regionale e poi hanno deciso di chiedere al governo, nella persona del ministro della Salute Roberto Speranza, di condividere le misure del coprifuoco regionale che scatterà da giovedì 22 ottobre.
Stop di tutte le attività e di tutti gli spostamenti – tranne casi eccezionali e di comprovata necessità – nell’intera Lombardia dalle 23 alle 5. Sabato e domenica dovranno restare chiusi gli esercizi commerciali della grande distribuzione, tranne alimentari e prima necessità.
Su queste misure è stata raggiunta l’unanimità dei presenti alla riunione, ma dopo che erano state avanzate proposte più radicali. Il Comitato tecnico scientifico aveva chiesto la chiusura di tutto già dalle 21 e dei bar dalle 18, ma non è stato ascoltato. Aveva chiesto anche il potenziamento dei controlli per verificare l’utilizzo delle mascherine sia all’aperto sia al chiuso, l’agevolazione dello smart working e la chiusura di tutte le attività commerciali nel fine settimana, escluse quelle essenziali.
Il sindaco Sala aveva espresso la sua contrarietà nei confronti della delega ai sindaci a chiudere le città o parti delle città: non vuole passare per quello che ferma Milano, rifiuta di prendere misure in proprio e si protegge dietro la decisione di chiudere tutta la regione.
Altre richieste avanzate nella riunione non sono state prese in considerazione. C’è stato chi ha chiesto d’intervenire sul trasporto pubblico locale, potenziandolo e chiedendo al governo i fondi necessari; di sospendere l’Area B, l’Area C e tutte le ztl (zone a traffico limitato) perché disincentivano l’uso dell’automobile e aumentano l’affollamento sui mezzi pubblici.
Tra gli operatori della sanità circola l’impressione, confessata a denti stretti, che le misure proposte siano necessarie, ma insufficienti, vista la situazione non tanto della Lombardia, ma dell’area metropolitana di Milano, dove il virus corre ormai senza freni.
Ad ammetterlo sono gli stessi uomini dell’amministrazione lombarda. La “commissione indicatori” istituita dall’assessorato al welfare e alla sanità (retto da Giulio Gallera) prevede che al 31 ottobre saranno almeno 600 i ricoverati in terapia intensiva e 4 mila quelli in terapia non intensiva. Ma il Comitato medico scientifico ha previsioni più alte: in due settimane arriveremo a 6 mila ricoverati, di cui 800 in terapia intensiva (oggi sono 113) . Situazione allarmante.
I vertici della Ast Milano constatano che i contagiati da Covid-19 in tre settimane sono sestuplicati. Ormai in città il virus avanza al ritmo di circa mille nuovi casi al giorno. Ieri sono stati 1.687 i contagiati ufficialmente accertati in tutta la Lombardia, di cui 814 a Milano, a fronte di 14.577 tamponi: i positivi sono ormai il 10 per cento dei sottoposti a tampone. I ricoveri, nella giornata di ieri, sono stati 38, di cui tre in terapia intensiva. Sei i morti, che fanno arrivare alla cifra di 17.084 le vittime del virus in Lombardia dall’inizio della pandemia.
Se a marzo-aprile il Covid era arrivato in regione come uno tsunami improvviso e inaspettato, l’impennata di questi giorni, in particolare a Milano, mette a nudo l’impreparazione della sanità lombarda di fronte a un pericolo ormai conosciuto. Il sistema di tracciamento dei contatti dei positivi è andato completamente in tilt, le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, quei gruppi di medici che svolgono attività domiciliari per i pazienti Covid) dovrebbero essere 200, in base al numero degli abitanti, sono invece solo 46.