Quel palazzo di Londra è il labirinto degli specchi del Papa
Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli /
Più che un immobile di pregio, è il labirinto degli specchi. Il palazzo di Londra acquistato dal Vaticano con lo zampino di due finanzieri, Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, sembra sempre più uno di quei padiglioni delle fiere in cui chi entra è destinato a perdersi, a ritrovarsi, a perdersi ancora.
In attesa di trovare l’uscita, Mincione ieri ha dovuto consegnare i suoi cellulari e tablet alle autorità vaticane che indagano sulla vicenda e che hanno già addirittura arrestato Torzi, rimasto chiuso per una decina di giorni nella cella vaticana con vista su San Pietro. Nei giorni precedenti, gli avvocati di Mincione, Luigi Giuliano e Andrea Zappalà, per evitare la stessa sorte al loro assistito, avevano depositato una memoria di 27 pagine e 39 allegati.
Per dimostrare due cose: che tutte le operazioni con soldi del Vaticano realizzate dal finanziere italiano basato a Londra sono state corrette; e che tutte sono state concordate con la Segreteria di Stato. Lo dimostrano la “procura” firmata il 22 novembre 2018 da monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, e la “Comfort Letter” del 23 novembre con firma di monsignor Alberto Perlasca, capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato.
In quei giorni avviene una svolta. Già nel 2014 il Vaticano aveva cominciato a far gestire soldi a Mincione. Almeno 155 milioni, usati (al 55%) per acquistare l’ormai famoso immobile in Sloane Avenue, a Londra, e per il resto (45%) impiegati in investimenti finanziari in azioni e obbligazioni. Un buon “bilanciamento tra rischio immobiliare e rischio azionario e obbligazionario”, secondo la memoria depositata.
Un gioco di prestigio per far sparire soldi, secondo i promotori di giustizia Giampiero Milano e Alessandro Diddi che esercitano l’accusa per il Vaticano. Nel labirinto degli specchi, questi lamentano perdite milionarie e avanzano accuse, contestate a vario titolo, per reati come estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio. Mincione risponde allineando documenti e grafici che proverebbero la regolarità delle sue operazioni.
Fino, appunto, alla svolta del novembre 2018, provata dalle due lettere di Peña Parra e Perlasca: il Vaticano estromette Mincione, accusato di far perdere soldi alla Santa Sede, e lo sostituisce con Torzi, che opera attraverso la società lussemburghese Gutt sa. Mincione scarica su Torzi le responsabilità per quel che è successo dopo. Torzi potrebbe aver detto tutt’altro agli inquirenti vaticani durante la sua detenzione, ma questo ancora non lo sappiamo.
Sappiamo che cosa dicono i promotori di giustizia, i pm del Papa: Mincione e Torzi insieme sono accusati di aver fatto sparire centinaia di milioni dell’Obolo di San Pietro. Almeno 18 milioni li ha persi Mincione investendo in titoli di società in cui aveva interessi diretti (Bpm, Carige, Fiber, Retelit…). Quanto al palazzo di Londra, nel labirinto ci si perde. Vale 260 milioni ma è costato 360, secondo i promotori. È invece un buon investimento, secondo Mincione, perché è costato 324 milioni, ma oggi ne vale 360 e rende in affitti 15 milioni l’anno, con cui il Vaticano paga comodamente i 5 milioni annui del mutuo concesso da Credit Suisse.
Dietro questi protagonisti finanziari s’intravvede il grande scontro vaticano: il cardinale Giovanni Becciu, che aveva scelto Mincione, contro monsignor Peña Parra che gli aveva preferito Torzi; e i promotori di giustizia contro gli uni e gli altri. Sopra tutti, papa Francesco, deciso a uscire dal labirinto degli specchi, costi quel che costi.
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