Gratteri: “Non dò pagelle ad altri giudici, ma le scarcerazioni sono devastanti”
“L’effetto delle scarcerazioni di questi mesi è stato devastante. Ha minato la fiducia nella giustizia e nello Stato che avevamo faticosamente conquistato negli ultimi anni”. Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, magistrato antimafia, è anche sicuro che le organizzazioni criminali stiano già sfruttando l’emergenza coronavirus per mettere le mani su pezzi dell’economia italiana.
Il decreto Bonafede del 10 maggio è riuscito a fermare l’epidemia di scarcerazioni avvenute negli ultimi mesi?
Obbliga almeno a controllare, prima di scarcerare, se è attuale e concreto il pericolo che il detenuto possa infettarsi di Covid-19; e a trovare eventuali soluzioni alternative alla detenzione domiciliare. Nei mesi scorsi sono stati mandati a casa molti detenuti per ragioni di salute: nell’ipotesi che, se contagiati, sarebbero potuti morire. L’ipotesi si basa sulla possibilità di essere contagiati. Ebbene, due mesi fa avevo detto che era più facile essere contagiato in piazza Duomo a Milano che non nelle carceri di San Vittore o di Opera. Sono stato criticato e attaccato. Oggi i fatti mi danno ragione: i contagiati in carcere sono 159 su 62 mila detenuti. Intanto ottomila persone sono uscite di cella, diminuendo il sovraffollamento carcerario. Ma intanto sono state scarcerate 400 persone che erano detenute al 41 bis o in alta sicurezza. In nome di un pericolo di contagio che non si è manifestato. I detenuti avevano il 99,5 per cento di possibilità di non infettarsi: a dirlo è il Garante nazionale delle private libertà. Era più pericoloso fare la spesa al supermercato che stare in carcere.
Il decreto Bonafede impone anche di chiedere il parere, prima di scarcerare, alle Procure distrettuali antimafia e alla Procura nazionale.
Le Direzioni distrettuali devono rilasciare il parere in due giorni: troppo pochi, ce ne vorrebbero almeno cinque. Anche perché la Direzione nazionale antimafia, che invece ha a disposizione quindici giorni, il parere lo chiede a noi delle Procure distrettuali.
L’ondata di scarcerazioni è stata causata dalla circolare del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) del 21 marzo?
Non credo sia stata fatta in malafede. Chiunque l’ha pensata non voleva certo favorire i mafiosi e non prevedeva neppure l’ondata di uscite dal carcere.
La responsabilità è allora dei magistrati di sorveglianza?
Non voglio dare pagelle e non posso sovrappormi alle decisioni di altri magistrati, perché non conosco gli atti.
L’effetto delle scarcerazioni è stato comunque un rafforzamento dei gruppi criminali?
Le ragioni poste a fondamento delle scarcerazioni sono legate a rischi di salute per il detenuto; purtuttavia un rafforzamento c’è stato in ragione dell’alto valore simbolico del rientro nei territori di provenienza degli appartenenti ai gruppi criminali. Un effetto devastante. La gente è smarrita di fronte a certe scarcerazioni. Ho visto una ricerca secondo cui i cittadini calabresi sono quelli con maggiore fiducia nella giustizia in Italia: da calabrese sono fiero di questo risultato che mi riempie d’orgoglio. Spero che l’effetto delle scarcerazioni non venga interpretato come debolezza dello Stato.
Un effetto collaterale: a causa del coronavirus si è ripreso a parlare di mafia.
Sì, e una gran parte dell’informazione ha fatto un ottimo lavoro. Ora dovremmo fare dei passi avanti. Per esempio istituendo i Tribunali distrettuali antimafia, per celebrare i processi di criminalità organizzata. Ogni mattina dal mio ufficio, qui a Catanzaro, partono sette auto per portare i pm in sette diversi Tribunali della Calabria, perché i processi si celebrano nel luogo dove è stato commesso il reato. Ma sarebbe più razionale unificarli tutti nei capoluoghi sedi delle Direzioni distrettuali antimafia. Otterremmo anche dei giudici con maggiore specializzazione ed esperienza.
L’emergenza virus non ha fermato le attività dei gruppi mafiosi.
Per niente. Le difficoltà di tante attività produttive o commerciali spingerà a chiedere soldi a usura ai gruppi criminali, i quali prestano soldi per poi rilevare le attività, che saranno usate per fare riciclaggio. Dopo il traffico di cocaina, l’usura è l’attività criminale più facile e frequente. Le cosche sono già al lavoro.