GIUSTIZIA

Cafiero De Raho: “Epidemia di scarcerazioni, vittoria delle mafie”

Cafiero De Raho: “Epidemia di scarcerazioni, vittoria delle mafie”

“Le mafie vivono di segnali. E il segnale lanciato dai boss che escono dal carcere e tornano nel loro territorio è devastante. Riacquistano l’arroganza, la prepotenza, la voglia di riprendersi il potere”. Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, vede accumularsi sul suo tavolo le richieste di scarcerazione per motivi di salute, a causa dell’emergenza coronavirus. Negli ultimi giorni sono 456, arrivano al ritmo di oltre cento al giorno. Provengono da mafiosi o detenuti per reati gravissimi, molte da boss sottoposti al 41 bis. E 376 sono i detenuti già scarcerati.

Com’è stata possibile questa epidemia di scarcerazioni?

È cominciato tutto con la nota del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che il 21 marzo, preoccupato che il virus potesse dilagare nelle carceri, chiede a tutti gli istituti penitenziari di segnalare ai Tribunali di sorveglianza i detenuti con determinate patologie. Parte così un meccanismo che ha portato centinaia di persone alla detenzione domiciliare.

La salute prima di tutto.

Sì, ma non sono state prese in considerazione le situazioni dei diversi detenuti, la possibilità di dotarsi di protezioni individuali dentro gli istituti penitenziari, gli eventuali percorsi sanitari alternativi al ritorno a casa…

I magistrati di sorveglianza hanno ricevuto le istanze dei detenuti e hanno scarcerato.

È partita l’emorragia di scarcerazioni. Ma è stato riversato sul solo magistrato di sorveglianza il peso di decidere che cosa fare davanti all’ipotetica possibilità di contagio in carcere. Non si è considerato, per esempio, che per i detenuti al 41-bis la situazione d’isolamento impedisce già il contagio in carcere, anche perché il ministero della Giustizia aveva già bloccato i contatti con l’esterno, sostituendo il colloquio di persona con due videochiamate.

Di fronte alle scarcerazioni di tanti boss mafiosi, la Direzione nazionale antimafia non ha fatto niente?

La Dna viene a conoscenza del problema soltanto il 21 aprile, un mese dopo la nota del Dap. Prima nessuno ci aveva informati. Allora richiamiamo immediatamente l’attenzione del ministro della Giustizia, ricordando che l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario stabilisce che il procuratore nazionale può intervenire nel caso di detenuti per mafia. Abbiamo chiesto di ricevere le istanze di scarcerazione inoltrate ai Tribunali di sorveglianza per poter esprimere un nostro parere.

Qual è stata la reazione del ministro Alfonso Buonafede?

Condivisione immediata delle nostre preoccupazioni, che erano anche le sue. Tanto che pochi giorni dopo, il 30 aprile, arriva il decreto legge del governo che per permessi e scarcerazioni rende obbligatorio il parere delle Direzioni distrettuali antimafia (per i detenuti per mafia e terrorismo) e della Direzione nazionale (per i detenuti al 41-bis).

Dal 30 aprile la situazione è cambiata?

La Procura nazionale antimafia ha ricevuto una lista di quasi 300 detenuti già scarcerati per motivi di salute. E continua a ricevere, ora direttamente dagli istituti penitenziari, le nuove richieste di scarcerazione con la relativa documentazione medica: 100 due giorni fa, 120 ieri, un centinaio oggi… La Dna formula il suo parere e lo manda ai Tribunali di sorveglianza, che poi decideranno.

È ipotizzabile che “l’emorragia di scarcerazioni” ora si fermi?

Vedremo quali saranno le nuove norme che emanerà il governo, vedremo se sarà possibile far rientrare in carcere i boss già usciti. Quanto alle nuove domande, quelle dopo il 30 aprile, la Procura antimafia fornisce il suo parere entro due giorni e lo invia ai Tribunali di sorveglianza.

Bloccherà le scarcerazioni?

La decisione è del magistrato di sorveglianza. Noi non diciamo sì o no, non ci sostituiamo al giudice a cui spetta la decisione. Stiliamo il profilo criminale del detenuto, diamo una descrizione della pericolosità del soggetto e del suo ruolo all’interno dell’organizzazione. Così il Tribunale potrà avere tutti gli elementi per capire la figura di chi chiede la detenzione domiciliare e potrà valutare anche strade alternative a questa. Si tratta di capire quale danno enorme sia lasciar tornare sul loro territorio i boss mafiosi. Lo Stato finora ha dimostrato la sua incapacità a evitare questi ritorni. Le mafie vivono di segnali: e i boss fanno apparire questi ritorni come una ripresa del loro potere sul territorio.

Il Fatto quotidiano, 8 maggio 2020
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