GIUSTIZIA

Stile Craxi. L’affare Eni-Sai, come ti spremo le tangenti

Stile Craxi. L’affare Eni-Sai, come ti spremo le tangenti Milan, ITALY: Italian Prosecutor Fabio De Pasquale arrives for the Berlusconi-Mills tax fraud trial at the Milan courthouse 21 November 2006. The trial of and his British lawyer David Mills was adjourned today to next week after the defense demanded the recusal of one of the judges. The defense argued that Judge Edoardo d'Avossa ruled in other trials involving Berlusconi, notably the "Medusa" case in which he was acquitted of false accounting after initially being sentenced to 16 months in jail. AFP PHOTO / Paco SERINELLI (Photo credit should read PACO SERINELLI/AFP/Getty Images)

Con il suo consueto stile squisito, nella scrittura come nella vita, il giudice Renato Caccamo, melomane e grande musicofilo, scrive di suo pugno le motivazioni della sentenza d’appello Eni-Sai che condanna Bettino Craxi a 5 anni e 6 mesi per corruzione. Della sentenza di primo grado, “monumentale” tanto da incutere “rispetto e soggezione”, Caccamo dice che “il lettore, colto da sindrome stendhaliana, sgomento si perde nei rigogliosi rivoli”. Riportati da Caccamo, in appello, alla loro “struttura essenziale”.

La vicenda, scoperta dal pm Fabio De Pasquale (nella foto), riguarda un accordo per far gestire dalla Sai, compagnia allora di Salvatore Ligresti, tutti gli assetti assicurativi dei 140 mila dipendenti dell’Eni, attraverso una joint-venture tra Sai, Eni e Salomon Brothers. A guadagnarci era solo Ligresti, grande amico personale di Craxi e del Psi. A perderci l’Eni, che però aveva al suo vertice Gabriele Cagliari, un manager scelto dal vicesegretario del Psi Claudio Martelli. Dunque l’affare si fa. Ma naturalmente scorrono fiumi di tangenti, che servono a oliare i meccanismi. Le intascano i partiti, i mediatori, i manager Eni. Promessi 3 miliardi di lire da dividere tra Psi e Dc, ma la cifra totale era molto più alta, se si pensa che Ligresti “sborsò a Molino, senza nulla ricevere in cambio, ben 17 miliardi” e altri 7 “si era impegnato a versare sotto certe condizioni…”.

Il regista dell’operazione, scrive il giudice Caccamo, era “Craxi Benedetto, all’epoca segretario politico del Psi”. Come? “Approvando le intese ed esercitando la propria influenza sul presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari”. Questi e i suoi collaboratori approvano l’intesa (non vantaggiosa per la compagnia) “nella piena conoscenza di consentire in tal modo il versamento di illeciti ‘contributi’ al Psi e e alla Dc”.

La sentenza dedica lunghe pagine a spiegare come “Craxi non avesse mai smesso di occuparsi in prima persona di tutto ciò che riguardasse le necessità economiche del Psi nonostante gli impegni derivantigli dalle alte cariche nazionali e internazionali rivestite nel decennio 1983-93”. Lo confermano “persone di fiducia sue e del partito quali Larini e Ferranti”. Silvano Larini è un amico di Craxi “da lui incaricato nel 1987 di occuparsi della consegna delle tangenti Mm, che porta in via ordinaria le somme nell’ufficio di Piazza Duomo 19 dove solo in parte venivano ritirate dal segretario amministrativo Vincenzo Balzamo”. Enrico Ferranti è il direttore finanziario di Eni.

Ai vertici della compagnia fino al 1989 c’era il socialista Franco Reviglio. Ma Craxi – racconta Larini – “si era spesso lamentato con lui della esiguità dei finanziamenti illeciti sotto la gestione Reviglio”. Ecco che Martelli, nel 1989 vicepresidente del Consiglio, caccia Reviglio e impone come presidente dell’Eni Cagliari, la cui nomina era “da riferire a una maggiore ‘disponibilità’”. Cagliari si mostra infatti subito disponibile anche al grande accordo con Ligresti. In verità, “nel settore assicurativo il referente diretto di Craxi” era Gianfranco Troielli, agente dell’Ina Assitalia e titolare della agenzia di Milano, la più grande d’Europa, che era anche “amico personale di Bettino Craxi da quando Craxi aveva i pantaloni alla zuava”, racconta Larini.

A chi concedere allora il ricco boccone? A Sai o a Ina? A Ligresti o a Troielli? Cagliari racconta (poco prima di togliersi la vita il 20 luglio 1993) che “Craxi era stato investito – come autorevole arbitro – del compito di risolvere la questione e aveva dato un’indicazione di favore a un’intesa tra tutti e tre i partner”. Ma “finì che non si misero d’accordo”. Allora Craxi dà “il suo assenso all’accordo corruttivo” tra Cagliari e Ligresti. Per chiuderlo, però, bisogna coinvolgere anche la Dc: il segretario amministrativo Severino Citaristi indica come mediatore Aldo Molino. Ligresti lo descrive “come un maneggione”, ma deve accettarlo e pagarlo. Intanto Ferranti versa sul conto svizzero Trend Set di Cagliari 600 milioni giratigli da Molino. Entra in partita anche Sergio Cusani, altro cassiere informale di Craxi, che “si accreditò come l’incaricato da Craxi” per la vicenda Eni-Sai”, racconta Molino. “Fui riconvocato da Cusani il quale con determinazione e crudezza mi chiese cosa c’era per lui e per il partito… Mi chiese 3 miliardi di lire”.

Il giudice Caccamo conclude che “può ritenersi pienamente provato che Craxi, nonostante gli impegni politici e di governo, si occupava in prima persona delle ‘operazioni’ concernenti il finanziamento del partito, quanto meno quelle di grande rilievo, quali la joint-venture Eni-Sai. E che nell’ottica di questi ‘approvvigionamenti’, debbano trovare collocazione i suoi stretti rapporti, talora anche di amicizia, con disinvolti imprenditori, faccendieri e uomini di partito sistemati ai vertici di enti pubblici economici, quali Ligresti, Troielli e Cagliari”. Pene confermate anche in appello, dunque. Anche a Craxi, senza attenuanti generiche: “L’appellante non appare meritevole, in considerazione della gravità della condotta criminosa e in particolare del discredito che, data la sua eminente e vistosa posizione nella classe politica dirigente, dalla condotta è derivata alla classe politica stessa, alla pubblica amministrazione e alla classe imprenditoriale”.

Il Fatto quotidiano, 23 gennaio 2020
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