AFFARI

L’avvocato Amara: Il “complotto” contro i pm era orchestrato dai vertici Eni

L’avvocato Amara: Il “complotto” contro i pm era orchestrato dai vertici Eni Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

Soldi Eni per far tacere i testimoni che accusano di corruzione i vertici della compagnia petrolifera. È questa l’ultima accusa che la Procura di Milano rivolge ai manager del Cane a sei zampe. Innanzitutto a Claudio Granata, l’uomo più vicino all’amministratore delegato Claudio Descalzi, nonché candidato alla sua successione. Ma anche a Michele Bianco, vicepresidente esecutivo degli Affari legali, e ad Alfio Rapisarda, responsabile della security. I tre manager sono accusati di associazione a delinquere. Granata e Bianco anche di induzione a rendere dichiarazioni false all’autorità giudiziaria. Due giorni fa sono stati perquisiti i loro uffici e le loro abitazioni, come quelle di un avvocato di Catania, Alessandra Geraci, accusata di corruzione fra privati. Perquisizioni anche per l’ex parlamentare Denis Verdini.

La storia è quella del “complotto” avviato nel 2015 dall’avvocato siciliano Piero Amara, allora legale esterno dell’Eni, che presenta prima alla Procura di Trani, poi a quella di Siracusa, false prove di una macchinazione ai danni di Descalzi. L’obiettivo è quello di intorbidare le acque e danneggiare le inchieste che Fabio De Pasquale della Procura di Milano stava svolgendo su ipotesi di corruzioni internazionali in Nigeria e in Algeria. Amara viene arrestato nel 2018 dalla Procura di Messina e patteggia 3 anni, per altre vicende di corruzione.

Sulle storie che coinvolgono Eni, sostiene in un primo momento di aver fatto tutto da solo, per ottenere crediti presso la compagnia. Negli ultimi mesi, interrogato più volte a Milano dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal sostituto Paolo Storari, racconta invece di aver avuto un mandato dai vertici Eni – Granata e Bianco – per far ritrattare a Vincenzo Armanna, ex dirigente Eni, le accuse che questi aveva rivolto a Descalzi, coinvolgendolo nel pagamento della mega-tangente da oltre 1 miliardo di dollari che la compagnia avrebbe pagato per ottenere in Nigeria il campo petrolifero Opl 245.

Scatta il cosiddetto “patto della Rinascente”, siglato nel marzo 2016 dopo un incontro al grande magazzino romano di piazza Fiume. Amara lo racconta in un suo memoriale: “Le dichiarazioni di Armanna scossero il mondo Eni che temeva che la Procura di Milano potesse emettere delle richieste di custodia cautelare nei confronti dello stesso Descalzi”. Così, continua Amara, Granata lo incarica di “gestire Armanna”: gli viene promessa la sua riassunzione in Eni dopo la sentenza di primo grado sul caso Nigeria; e un pagamento di 1,5 milioni all’anno (finora almeno 5/6 milioni di euro) che la compagnia ha versato alla azienda nigeriana Fenog che a sua volta li ha girati ad Armanna come pagamento di consulenze. In cambio Armanna ha ritrattato le sue accuse a Eni e a Descalzi, inserendo in una memoria consegnata alla Procura di Milano il 23 maggio 2016 tre punti indicati in una annotazione preparata proprio da Granata.

Amara ha raccontato ai magistrati milanesi che anche la fase del “complotto” a Trani e a Siracusa è stata da lui gestita insieme agli uomini Eni, l’avvocato Bianco e, per Siracusa, anche Granata. Per imbastire questa trama, i rapporti riservati tra Granata e Amara – secondo le dichiarazioni di quest’ultimo – sono stati tenuti dal capo della security aziendale, Rapisarda. Per compensare questo lavoro, Eni ha pagato consulenze legali all’avvocato Geraci, che poi ha versato una parte dei soldi a una società di servizi dietro cui c’è Amara.

L’avvocato Bianco – sempre secondo Amara – aveva chiesto ad Armanna di lasciar cadere le accuse a Descalzi e Granata, scaricandole semmai su due manager licenziati dalla compagnia, l’ex capo degli Affari legali Massimo Mantovani e l’ex capo della divisione Exploration & Production Antonio Vella. La stessa richiesta sarebbe arrivata ad Amara, su un foglietto, anche da Verdini. Bianco è accusato anche di aver chiesto ad Amara di retrocedergli in contanti una parte delle somme pagate da Eni.

 

La risposta di Eni

Eni, in merito ai provvedimenti emessi giovedì dalla Procura della Repubblica di Milano, desidera anche confermare la propria stima nei confronti degli attuali dirigenti interessati. Eni tiene a evidenziare con grande sconcerto che le accuse alla base dei provvedimenti presi sono state formulate dai Signori Piero Amara e Giuseppe Calafiore, soggetti pluripregiudicati e Vincenzo Armanna indagato sia nel procedimento relativo all’Opl245, sia in quello relativo al cosiddetto “depistaggio”. La società ricorda come, a luglio dello scorso, nell’ambito del procedimento Nigeria, sia stato depositato dal difensore di uno degli imputati un documento della Polizia giudiziaria di Torino in cui Vincenzo Armanna, in una conversazione con Piero Amara, al fine di volere estromettere alcuni manager di Eni dalla gestione delle attività nigeriane, rispetto alle quali nutriva interessi economici personali, prometteva di adoperarsi per causare l’emissione di avvisi di garanzia a loro carico da parte della Procura di Milano nell’ambito delle indagini su Opl245. È nei fatti che Armanna, immediatamente dopo, si recò alla Procura di Milano per rendere delle dichiarazioni, e tre giorni successivi alla data di tale incontro, e il giorno seguente alla deposizione di Armanna presso la Procura di Milano, furono emessi gli avvisi di garanzia nei confronti dell’AD e dell’ex AD di Eni. Fatto di estrema gravità, che conferma e va letto anche in relazione ai ripetuti tentativi di destabilizzazione della società perpetrati da Amara e Armanna, già querelati e denunciati dall’AD di Eni e dal Chief Services & Stakeholder Relations Officer della società per calunnia e diffamazione aggravata. Eni ha altresì accertato e denunciato per ogni verifica in giudizio il compimento di atti lesivi del proprio patrimonio da parte degli stessi soggetti oggi dichiaranti e di ulteriori partecipanti. Eni è certa che gli accertamenti della magistratura inquirente, nella cui attività la società ripone assoluta ed incondizionata fiducia, consentiranno di chiarire ulteriormente l’estraneità della società e degli attuali manager interessati dal provvedimento alle ipotesi investigative avanzate allo stato. Per quanto riguarda l’ipotesi relativa al cosiddetto “depistaggio”, Eni ribadisce la fermissima convinzione di essere parte lesa e continuerà a perseguire con rinnovato vigore e determinazione nelle sedi già adite la tutela della propria reputazione nei confronti di chiunque abbia già confessato un proprio coinvolgimento o che altrimenti risulti responsabile di eventuali ulteriori condotte censurabili in danno sia alla reputazione sia al patrimonio nella assoluta convinzione che le attività di indagine in corso non potranno che convergere sugli accertamenti interni svolti e sulle azioni di Eni già in essere.

Il Fatto quotidiano, 25 gennaio 2020
To Top