Strage di Bologna, condannato il quarto uomo
di Gianni Barbacetto e Sarah Buono/
Per la terza volta, una Corte d’assise conferma, in nome del popolo italiano, che la strage di Bologna è nera, che il più grave attentato della storia repubblicana è stato compiuto dai fascisti dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar). Questa volta a essere condannato è Gilberto Cavallini, dopo i due processi precedenti che avevano condannato, il primo, all’ergastolo Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, il secondo a 30 anni di detenzione Luigi Ciavardini. Quella della stazione di Bologna è dunque una strage fascista, portata a termine dai Nar con inquietanti collegamenti con apparati dello Stato.
Questa è la verità giudiziaria che affiora dal processo terminato ieri dopo due anni di dibattimento, oltre quaranta udienze, quasi cinquanta testimoni. La sentenza di condanna (“ergastolo per concorso in strage”) è stata letta dal giudice Michele Leoni, presidente della Corte d’assise di Bologna, dopo sei ore e mezza di camera di consiglio.
Per la terza volta, pm, giudici togati e giudici popolari hanno ricostruito, con decine di testimoni e migliaia di atti processuali, la vicenda che è culminata nell’esplosione che il 2 agosto 1980 ha provocato 85 morti e oltre 200 feriti tra la gente comune che aspettava il treno nella sala d’aspetto e sui marciapiedi della stazione. E hanno confermato gli elementi che nei due precedenti processi avevano portato a condannare Fioravanti, Mambro e Ciavardini.
Il reato attribuito ora anche a Cavallini, in passato già condannato per banda armata, è concorso in strage. “Nella sentenza c’è stata una riqualificazione da strage politica a strage semplice”, ha gioito a caldo l’avvocato difensore di Cavallini, Alessandro Pellegrini, “evidentemente i giudici non hanno qualificato il gesto o la condotta degli attentatori come rivolta al fine di attentare alla sicurezza dello Stato”. Spiega invece l’avvocato Andrea Speranzoni, che assiste l’associazione dei famigliari delle vittime: “La strage di Bologna resta una strage politica. Questa è solo una riqualificazione tecnica, per il ne bis in idem: non si può condannare due volte per lo stesso reato; e Cavallini è già stato condannato per banda armata con finalità politiche ed eversive”.
I pm Enrico Cieri, Antonella Scandellari e Antonello Gustapane hanno ottenuto per Cavallini l’ergastolo che avevano chiesto alla Corte d’assise, portando le prove della sua partecipazione diretta alla strage: per aver ospitato nella sua casa nei pressi di Treviso il commando dei Nar che stava preparando l’attentato e per aver fornito le auto per raggiungere Bologna, quel 2 agosto di 40 anni fa.
Cavallini oggi ha 67 anni ed è ospite, in stato di semilibertà, del carcere di Trani. È un nero cresciuto a Milano, nel quartiere periferico di Calvairate. Tra i fondatori del gruppo ultrà dei “Boys San” dell’Inter, nell’aprile 1976, per vendicare la morte del camerata Sergio Ramelli ucciso dai rossi un anno prima, aggredisce con il suo gruppo tre ragazzi di sinistra in via Uberti, a Milano. Resta a terra, accoltellato a morte, Gaetano Amoroso, 21 anni.
Condannato e incarcerato, evade e si stabilisce con una falsa identità in Veneto, a Villorba di Treviso, ma è spesso a Roma. Mantiene i collegamenti tra i veneti di Ordine nuovo (Massimiliano Fachini, Carlo Maria Maggi, Carlo Digilio e i protagonisti della stagione delle stragi di piazza Fontana e di Brescia) e i romani di Costruiamo l’azione (Paolo Signorelli) e dei Nar. Con i Nar realizza l’agguato al magistrato Mario Amato, titolare delle principali inchieste romane sui neri. È Cavallini che, il 23 giugno 1980, gli spara alla nuca, mentre Amato, lasciato senza protezione, aspetta alla fermata l’autobus 391 che lo doveva portare a palazzo di giustizia. Due mesi dopo, esplode la bomba di Bologna.
Dal processo terminato ieri sono emersi anche i collegamenti con apparati dello Stato (i servizi segreti Sisde e Sismi), intervenuti per frenare e depistare le indagini. Restano aperti gli interrogativi sui mandanti della strage, che secondo una nuova indagine che sta per essere conclusa dalla Procura generale di Bologna sarebbero da cercare nella saldatura tra apparati dello Stato e uomini della P2, la loggia massonica segreta guidata da Licio Gelli. Il Venerabile è già stato condannato, in passato, insieme agli uomini del Sismi (Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e l’“esterno” Francesco Pazienza) per aver cercato di rendere incredibile la pista nera, accreditando invece una inesistente pista internazionale.
Soddisfatti della sentenza i famigliari delle vittime, riuniti nell’associazione presieduta da Paolo Bolognesi. Cavallini, invece, nelle sue dichiarazioni spontanee prima della sentenza aveva ripetuto di essere estraneo alla strage: “Sono in carcere dal 12 settembre del 1983, sono 37, 38 anni… ho perso il conto. Anni di galera che mi sono meritato e che non contesto. Quello che non accetto è dover pagare per ciò che non ho fatto, non tanto e non solo in termini carcerari, ma anche di immagine e di credibilità. Noi, e mi riferisco anche ai miei compagni di gruppo, tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto alla luce del sole, a viso scoperto, lo abbiamo rivendicato e pagato”.
Ai giornalisti, Cavallini aveva poi rievocato l’omicidio Amato: “È una vittima che mi pesa particolarmente. L’ho giustiziato in un modo vigliacco e partigiano di colpire una persona, alle spalle. Ho fatto così perché se l’avessi guardato negli occhi non sarei più riuscito a farlo, non avevo il coraggio di guardare negli occhi una persona che stavo per ammazzare. Mi pesa lui, mi pesa tutto ciò che è successo in quegli anni”.
Le motivazioni della sentenza arriveranno in 180 giorni, sei mesi. Prima dovrebbe arrivare l’avviso di chiusura indagini della Procura generale, con indicazioni sui mandanti e sulle complicità istituzionali della strage più nera della storia della Repubblica.
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