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Eni, operazione Virgin Naphta. Amara la stagione degli affari con l’Iran

Eni, operazione Virgin Naphta. Amara la stagione degli affari con l’Iran

C’è anche l’operazione Virgin Naphta a preoccupare Eni. Oltre alla nave con il petrolio sbagliato, la White Moon, e alla vendita non andata in porto del polietilene ad alta densità, esiste anche un altro affare realizzato da Ets (Eni Trading & Shipping, l’azienda del gruppo che si occupa della compravendita di prodotti petroliferi) con Napag, la società riferibile a Piero Amara, avvocato esterno della compagnia petrolifera, arrestato a febbraio 2018 e indagato dalle Procure di Milano, Roma e Messina.

È l’estate 2018. Il responsabile Products Trading di Ets, Alessandro Des Dorides, acquista alcuni carichi di Virgin Naphta, un derivato del petrolio, per rivenderlo subito: è un’operazione in cui Ets fa solo da intermediario. Il primo acquisto è del 12 luglio e il prodotto viene caricato il 21 luglio. Segue un secondo acquisto il 2 agosto, con carico il 21 agosto. Un terzo, del 4 ottobre, viene cancellato il 30, ma comunque pagato il 26 di quel mese. Per le due forniture andate a buon fine viene utilizzata la petroliera Biendong Victory, che batte bandiera vietnamita. In entrambi i casi – dicono i documenti – la nave imbarca la Virgin Naphta nel porto di Sohar, nell’Oman, e la scarica nei porti di Fujaira e Jebel Ali, negli Emirati Arabi Uniti.

L’affare è realizzato in euro: strano, per operazioni petrolifere che sono sempre regolate in dollari. Eni, dopo lo scoppio dello scandalo Amara, compie alcune verifiche, interroga i providers BigOceanData e Reuters e scopre che la Biendong Victory, il 16 e 18 luglio, era nei pressi del terminale di Bandar Abbas, in Iran. Da lì il 21 si sposta, presumibilmente già carica, al largo del porto di Sohar, dove è localizzata in ancoraggio, ma non agganciata al terminale. Eppure un documento, il “Bill of Lading”, dice che il 21 la nave è stata caricata a Sohar. I dati dei providers lo smentiscono: la linea di galleggiamento è di 10,7 metri il 18 luglio, quando la nave si allontana dalle acque dell’Iran, e resta identica quando arriva nelle acque dell’Oman e poi degli Emirati. Nel giugno 2019, Eni compie ulteriori verifiche, da cui risulta che al terminale di Sohar non c’è traccia dei due carichi di Virgin Naphta del luglio e dell’agosto 2018.

Chi è il venditore della Virgin Naphta a Ets? La società Napag, dell’imprenditore Francesco Mazzagatti, ma con sede nello studio romano dell’avvocato Amara. Dopo le verifiche, risulta chiaro che Ets ha venduto un prodotto petrolifero presentato come omanita, ma in realtà iraniano, agli Emirati, arcinemici dell’Iran. È la terza operazione Eni “irregolare” a emergere come realizzata dalla Ets di Alessandro Des Dorides con la partecipazione di Napag. La prima era scattata nel marzo 2018, quando Ets aveva avviato trattative per 25 mila tonnellate di polietilene ad alta densità (Hdpe), forniti da Napag e da rivendere a una società con base a Singapore, la Coral Energy. La Ets paga in anticipo a Napag 25,9 milioni di euro. Poi la Coral svanisce e l’affare sfuma. Ma la Procura di Milano sospetta che l’operazione volesse mascherare il pagamento del silenzio di Amara, che un mese prima, il 6 febbraio 2018, era stato arrestato per aver comprato sentenze e avrebbe potuto fare dichiarazioni pericolose per Eni e i suoi vertici.

L’avvio degli affari di Amara e Napag con Ets è però di molto precedente. L’avvocato manda a Eni la sua prima email sull’argomento tre anni prima, il 18 marzo 2015, per chiedere i prezzi di alcuni prodotti chimici, sostenendo di avere il mandato di una società sua assistita, la Qatar Global Energy and Resources. Chiede due catalizzatori: il Pbe-1 e il Pbe-2, prodotti da Versalis (azienda chimica del gruppo Eni), che possono avere uso anche militare. Amara aggiunge alla richiesta una postilla che profuma di servizi segreti: “In merito a questi prodotti, la nostra agenzia interna dei servizi (Aise) ci ha comunicato che, se necessario, ci fornirà un documento che attesti che saranno loro a occuparsi della tracciabilità sulla sicurezza della destinazione”.

L’affare polietilene del marzo 2018 era in gestazione da molto prima. C’è un documento, nelle mani dei magistrati di Milano che hanno sequestrato il computer di Des Dorides, che è datato 3 febbraio 2017: in una cartella chiamata “Mantovani” è contenuta una sottocartella chiamata “Napag Sales” che a sua volta contiene una presentazione dell’affare polietilene, con la proposta di vendere 160 mila tonnellate di Hdpe, prodotto in Iran da Mehr Petrochemical, a una azienda cinese, la Zhejiang Future Petrochemical. Il “Mantovani” a cui è dedicata la cartella è Massimo Mantovani, fino all’ottobre 2016 capo dell’ufficio legale dell’Eni, poi numero uno della divisione Gas & Power e presidente di Ets. Un’altra email di Des Dorides, del 18 gennaio 2018 (un mese prima dell’arresto di Amara), dice: “Riproviamo prepagamento impianto Iran”. Già nell’ottobre 2017, Des Dorides aveva proposto a Eni uno schema di finanziamento in cui Ets, con i suoi prepagamenti, fa da banca per gli affari Napag di Amara e Mazzagatti.

C’è molto Iran, nella storia di Napag. È iraniana la famiglia Jahanpour, proprietaria della Qatar Global Energy che nel 2015 voleva comprare il Pbe-1 e Pbe-2; iraniano il polietilene comprato da Ets nel 2018; iraniano l’impianto di Tabriz che Napag progetta di ristrutturare; iraniano (dunque sotto embargo Usa) il petrolio fatto passare per iracheno della nave White Moon, bloccata davanti al porto di Milazzo nel giugno 2019. Ecco perché gli affari di Napag con Ets sono sempre regolati in euro e non in dollari.

Dopo la bufera, Eni cerca di correre ai ripari, cacciando quello che ritiene il gruppo “che si era infiltrato nell’azienda come un cancro”. Des Dorides è licenziato il 28 maggio 2019. Mantovani il 16 luglio 2019. Amara è denunciato alla Procura di Milano il 15 luglio 2019. Tutti cambiati i manager di Ets, che non potrà più fare compravendita e intermediazioni, ma solo trading proprietario, cioè acquisti di prodotti per Eni. Basterà, per diradare i sospetti sui vertici della compagnia e per convincere i magistrati di Milano che i rami tagliati non siano solo il capro espiatorio di questa brutta storia?

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Il Fatto quotidiano, 9 novembre 2019
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