Ergastolo ostativo. Così i boss sperano di uscire dal carcere
Tra 48 ore una sentenza europea potrebbe sconvolgere il sistema antimafia (e antiterrorismo) italiano. È attesa infatti per lunedì 6 ottobre 2019 la decisione degli organi giudicanti della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che potrebbe aprire la strada all’eliminazione del cosiddetto “ergastolo ostativo” per mafiosi e terroristi, porre fine all’esperienza dei collaboratori di giustizia e far saltare di fatto il 41 bis, cioè il carcere duro per i mafiosi. I boss condannati all’ergastolo potrebbero uscire dal carcere e sarebbero messe a rischio le norme antimafia volute da Giovanni Falcone.
La vicenda ha una data d’inizio: 13 giugno 2019. Quel giorno la Cedu – a maggioranza, con l’opinione contraria di un giudice – ha dato ragione al ricorso di un boss mafioso, Marcello Viola, e torto allo Stato italiano. Viola è il capo di una ’ndrina calabrese di Taurianova, condannato a quattro ergastoli per omicidi plurimi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi.
La sentenza Cedu censura come “trattamento inumano e degradante” l’istituto giuridico del cosiddetto “ergastolo ostativo”. È la prassi italiana che esclude dai benefici penitenziari (lavoro fuori dal carcere, permessi premio, misure alternative alla detenzione) alcuni condannati all’ergastolo: 957 persone, condannate per reati di mafia, terrorismo, traffico di droga, pedopornografia, prostituzione minorile.
Anche i condannati all’“ergastolo ostativo” hanno un modo per tornare a godere, come gli altri, dei benefici penitenziari: dimostrare di essersi incamminati sulla strada della riabilitazione a cui ogni pena deve puntare, avendo tagliato i ponti con l’ambiente criminale e collaborando con la giustizia. La sentenza Viola, se confermata, provocherebbe invece la fine delle collaborazioni. Contro quella decisione, ha fatto ricorso il governo italiano, che l’ha ritenuta dirompente rispetto a un sistema di contrasto alla criminalità che si è dimostrato collaudato ed efficace.
Al ricorso italiano dovrà rispondere la Grande Camera, una sorta di Cassazione della Corte europea. Per accedervi, il ricorso deve prima essere dichiarato ammissibile da un collegio di cinque giudici: lunedì questi si riuniranno per esaminare la questione. Se riterranno inammissibile la richiesta del governo italiano, varrà la sentenza del giugno scorso. Se la riterranno invece ammissibile, la Grande Camera la esaminerà e darà il suo verdetto, finale e inappellabile, prevedibilmente entro qualche mese.
Intanto altri 12 condannati hanno già depositato il loro ricorso, simile a quello di Viola, davanti alla Corte europea. E ben 250 ergastolani lo hanno presentato a un altro organismo internazionale, il Comitato delle Nazioni Unite.
Si è detto preoccupato della situazione il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. In un incontro con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, Bonafede ha espresso la sua preoccupazione “per il possibile impatto che la decisione di Strasburgo potrebbe avere sulla lotta alla mafia e al terrorismo”. Il non accoglimento del ricorso dell’Italia “avrebbe conseguenze sulle politiche antimafia e antiterrorismo italiane”.
Se infatti, tra qualche mese, la Grande Camera respingerà il ricorso italiano e dunque confermerà il giudizio Cedu espresso a giugno, l’Italia sarà obbligata a risarcire il danno ai singoli che ne faranno richiesta. Ma più in generale, sarà sollecitata a modificare le sue leggi smontando il “sistema Falcone” e riconoscendo i benefici carcerari (compresi i permessi per uscire) anche ai boss che non hanno alcuna intenzione di collaborare.
La decisione europea di lunedì potrebbe avere influenza anche sulla Corte costituzionale italiana, che il 22 ottobre si dovrà pronunciare su una questione simile: dopo aver già dichiarato costituzionale il cosiddetto “ergastolo ostativo”, la Consulta a fine mese deciderà sul caso di Sebastiano Cannizzaro, condannato per associazione mafiosa. La questione sollevata davanti alla Corte: è incostituzionale privarlo dei permessi premio?
“Falcone aveva ben compreso che solo con l’ergastolo ostativo e il carcere duro fosse possibile per lo Stato ottenere risultati significativi nel contrasto alle mafie”, sostiene una nota degli europarlamentari del M5s Fabio Massimo Castaldo e Sabrina Pignedoli. “Rimosse queste limitazioni, nessun mafioso avrebbe più interesse a collaborare. La Cedu rischia di esaudire, inconsapevolmente, le richieste dei boss nella Trattativa Stato-mafia e rendere vano il sacrificio di Falcone e Borsellino e di tutti i magistrati e forze dell’ordine che rischiano la vita per combattere le mafie”. (Il Fatto quotidiano, 5 ottobre 2019)
E ora 250 detenuti italiani si rivolgono all’Onu
È allarmato, il procuratore nazionale antimafia: “La nostra attuale legislazione sulla criminalità organizzata ha avuto risultati positivi e ha consentito le collaborazioni di giustizia”, dichiara Federico Cafiero De Raho. “Nel momento in cui dovesse venir meno, se l’ergastolo si trasformasse in una pena diversa, è certo che tutti i risultati positivi fino a ora conseguiti non si avrebbero più”.
Il problema è il cosiddetto “ergastolo ostativo”, cioè quello regolato dall’articolo 4 dell’ordinamento penitenziario, che esclude dai benefici (lavoro fuori dal carcere, permessi premio, misure alternative alla detenzione) i condannati per reati di mafia e terrorismo, ma anche di traffico di droga, pedopornografia e prostituzione minorile, che non diano segnali di aver rotto davvero con l’ambiente criminale collaborando con la giustizia. Sono, al momento, 957 persone.
Tra domani e martedì (7 e 8 ottobre 2019), un’articolazione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) deciderà sul ricorso che l’Italia ha presentato contro una sentenza Cedu pronunciata il 13 giugno 2019. Quel giorno la Corte ha dato ragione, a maggioranza, al boss mafioso Marcello Viola e condannato l’Italia, ritenendo che l’ergastolo “ostativo” sia contrario all’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che vieta la tortura, i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti.
La sentenza mette in discussione che la collaborazione con la giustizia sia un indice efficace di avvenuto ravvedimento del detenuto: secondo i giudici, “l’equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione assoluta di pericolosità sociale finisce per non corrispondere al reale percorso rieducativo”.
Lo Stato italiano ha fatto ricorso contro la sentenza Viola e, domani o dopo, un collegio di cinque giudici deciderà se è ammissibile. In questo caso, a pronunciarsi sarà, entro qualche mese, la Grande Camera, che è il giudice di ultima istanza della Corte europea. Se la decisione finale dovesse essere contraria al cosiddetto “ergastolo ostativo”, l’Italia dovrà risarcire il danno ai singoli ergastolani esclusi dai benefici penitenziari che faranno richiesta di risarcimento.
Già altri 12 condannati hanno depositato il loro ricorso, simile a quello di Viola, davanti alla Corte europea. Ma, più in generale, l’Italia sarà sollecitata – non obbligata – a modificare le sue leggi e a non considerare più la collaborazione con la giustizia condizione necessaria per ottenere i benefici carcerari. Anche i boss più irriducibili potrebbero così uscire dal carcere.
A questo si oppone il procuratore antimafia: “Per valutare l’esigenza di mantenere l’ergastolo nei confronti dei mafiosi e dei terroristi”, spiega, “bisogna rivivere quella che è stata la nostra storia e i meccanismi di funzionamento delle organizzazioni mafiose. Chi è mafioso non smette mai di esserlo e la sua pericolosità va calibrata rispetto ai ruoli che ha avuto”.
Cafiero De Raho considera l’attuale disciplina italiana sull’ergastolo “un deterrente affinché i mafiosi possano ritornare sul territorio e operare anche dopo stragi e omicidi”, ma anche “l’unico strumento attraverso cui spingere alcuni mafiosi a trovare una condotta di vita diversa. Le collaborazioni spesso hanno trovato origine in condanne all’ergastolo: modificare questa disposizione finirebbe per affievolire l’esigenza degli stessi mafiosi di rinnegare l’ambiente di provenienza”.
Durissima anche la Commissione parlamentare antimafia: “La Corte europea dei diritti dell’uomo deve dichiarare da che parte sta nella lotta alla mafia. Siamo veramente perplessi di fronte alla possibilità che piuttosto di ragionare di una legislazione europea, efficace e severa, che non conceda tregua ai mafiosi, gli stessi abbiano la concreta possibilità di fare causa allo Stato. L’Italia ha una delle migliori e più efficaci legislazioni nel contrasto alla criminalità organizzata e l’Europa non può che apprendere da noi piuttosto che ostacolarci”.
Sulla questione sono intervenuti anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e quello degli Esteri Luigi Di Maio, leader M5s: “L’ergastolo ostativo”, secondo Bonafede, “rappresenta un caposaldo della lotta alla mafia e al terrorismo”. “Ne va della sicurezza di tutta l’Europa”, ha scritto su facebook Di Maio.
A pronunciarsi su questa materia sarà anche la Corte costituzionale italiana, il 22 ottobre: il caso è stato posto a proposito di un condannato per associazione mafiosa, Sebastiano Cannizzaro, e la Corte dovrà decidere se sia incostituzionale la carcerazione che esclude i permessi premio e dunque la possibilità di uscire dal carcere.
L’associazione “Nessuno tocchi Caino”, che si batte contro l’“ergastolo ostativo”, ha intanto promosso un ricorso collettivo sottoscritto da oltre 250 condannati con “fine pena: mai” – primo firmatario: Claudio Conte – e l’ha presentato al Comitato diritti umani delle Nazioni Unite. “Il Comitato Onu non emette sentenze vincolanti dal punto di vista giuridico”, spiega l’avvocato Andrea Saccucci, “ma il nostro ricorso dovrà essere preso sul serio perché l’articolo 117 della Costituzione impegna l’Italia a conformare la sua legislazione alle disposizioni internazionali”. (Il Fatto quotidiano, 6 ottobre 2019)