Il tramonto di Giovanni Bazoli è arrivato, a sorpresa, prima della fine del processo in cui è imputato a Bergamo. A Milano resta “presidente emerito” di Banca Intesa, ma a casa sua, a Brescia, è stato ruvidamente estromesso dalla cabina di regia di Ubi Banca. È crollato in una notte, dopo dodici anni, il castello di carte che aveva costruito per tenere insieme le due “famiglie” che nel 2007 avevano fondato Ubi, quella bresciana della Banca Lombarda e quella bergamasca della Popolare di Bergamo.
La guida dell’istituto nato dalla fusione e la nomina delle cariche sociali e del management sono sempre state nelle mani del patto raffinatissimo stretto dalle due associazioni di azionisti che riunivano i soci fondatori: i bergamaschi “Amici di Ubi” guidati da Emilio Zanetti; e i bresciani dell’“Associazione Banca lombarda e piemontese” presieduta da Bazoli, assistito dalla figlia Francesca. “Patto occulto”, secondo la Procura di Bergamo, che ha messo sotto processo Bazoli e l’intero gruppo dirigente di Ubi. Occulto o no, ora quel patto si è dissolto. All’equilibrio dei “territori” si è sostituito il peso dei soldi.
Che cos’è successo? Cinque grandi azionisti bergamaschi, le famiglie Bombassei (Brembo), Bosatelli (Gewiss), Pilenga (Fonderie Pilenga), Radici (Radici group) e Andreoletti (Cospa), ciascuno con una quota pari o superiore all’1% di azioni, sono usciti dal precedente “Patto dei Mille” e hanno costituito il Car (Comitato azionisti di riferimento), a cui hanno aderito la Fondazione Banca Monte di Lombardia (4,95%) e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo (6%).
Il Car ha riunito così il 16,7% di azioni Ubi, che supererà il 17% con l’ingresso, già annunciato, della famiglia bresciana Gussalli Beretta (quella delle armi). Restano fuori i bresciani che erano riuniti attorno a Bazoli; e anche il bergamasco Zanetti, che di Bazoli è stato il grande partner, tagliato fuori dall’entry level: è accettato nel Car solo chi ha più dell’1% (valore: 29 milioni di euro).
Gli uomini designati a rappresentare il Car sono Gianni Genta – che non è né di Bergamo, né di Brescia, ma viene dalla Fondazione di Cuneo, il terzo “territorio” di Ubi –, il “pavese” Mario Cera e il bergamasco Armando Santus, entrambi coimputati di Bazoli nel processo sul “patto occulto”.
Brescia e il mondo di Bazoli protestano: “La nascita del nuovo Patto di consultazione di Ubi mina alle fondamenta il bergamasco Patto dei Mille e mette in discussione l’apporto centenario di matrice bresciana alla storia della banca”, scrive allarmatissimo Il giornale di Brescia. Il pericolo è quello di “dissipare il patrimonio di radicamento nei diversi territori”. Sotto accusa anche il “tradimento” della famiglia Beretta, “che si smarca dalla storia centenaria della banca a forte radicamento territoriale”. Conclusione: “Brescia non può restare indifferente. Se ritiene di avere ancora qualcosa da dire, lo faccia ora”.