Silenzio surreale negli atrii, nei corridoi, nelle aule, nei chiostri dell’Università Statale, deserta come dopo una guerra nucleare. Solo l’aula magna è gremita all’inverosimile e fumosa, perché le sigarette sono ancora ammesse negli spazi pubblici. Migliaia di ragazzi occupano ogni poltoncina e, seduti a terra, ogni millimetro della grande sala. Alcuni sono saliti anche sul palco, dove di solito sta il gruppo del Movimento Studentesco incaricato di guidare le assemblee. Al centro della scena, illuminato da un faretto, questa volta c’è un uomo solo, alto, allampanato, pantaloni neri, maglietta nera.
Quando comincia a parlare si fa silenzio. Per oltre due ore, parla una lingua mai udita e racconta storie mai narrate. Vicende lontane, buffonerie medioevali, storie di contadini e di santi, di potenti spietati e ribelli irridenti, di preti untuosi e poveracci pieni di dignità, di ubriachi che si sostituiscono agli arcangeli e di papi usi a far inchiodar per la lingua, alle porte delle città, i frati poveri che predicano contro i signori. Il pubblico in jeans e minigonne è subito incantato, ascolta, ride, s’indigna, ride ancora, applaude.
Il Medioevo lontanissimo in cui si dipanano quelle favole esilaranti e tremende sembra proprio il presente vicinissimo. Era il 30 maggio 1969. L’uomo che sul palco saltava e raccontava, sussurrava e urlava, piangeva e rideva, entrando e uscendo da mille personaggi, era Dario Fo. Quella rappresentazione era la prima assoluta di Mistero buffo. Una “giullarata popolare”. La recita l’attore che sette anni prima, nel 1962, era stato cacciato dalla tv di Stato dove insieme a Franca Rame conduceva Canzonissima.
Usciti dalla televisione, Dario e Franca entrano nelle fabbriche, nelle università, nelle case del popolo, preferiscono le piazze ai teatri, vogliono far ridere e pensare e indignare “il popolo” e non “i borghesi”. Usano una lingua inventata, il grammelot, in cui s’incrociano dialetti padani, echi di linguaggi antichi, scherzi e onomatopee. Riscrivono storie che dicono di aver trovato in testi storici e vangeli apocrifi, citano fonti colte e autori antichi. Una felice impostura per presentare la gioiosa, assoluta contemporaneità politica del teatro di Dario Fo, alle prese non con il Medioevo, ma con il presente della storia italiana che stava vivendo il suo ’68 studentesco, il suo ’69 operaio.
Sono passati 50 anni. Il debutto in teatro di Mistero buffo fu poi il 1 ottobre 1969 all’Ariston di Sestri Levante, ma quella “prima” clamorosa alla Statale di Milano resta il sigillo di un testo così anticonvenzionale ed eversivo da non poter avere la sua partenza sul palcoscenico di un normale teatro italiano. Se lo ricorda, quel debutto, chi fu, quasi suo malgrado, l’informale organizzatore della serata. Ezio Rovida, allora studente di Lettere alla Statale, era stato indicato dall’Assemblea generale – allora supremo organo deliberante del Movimento Studentesco che funzionava per democrazia diretta – come responsabile dell’Interfacoltà e del finanziamento.
“Sì, avevo ereditato 10 mila lire in monetine dal mio predecessore, Michelangelo Spada. La serata con Fo fu la nostra prima iniziativa culturale in aula magna. Intensissima, affollatissima, applauditissima. L’effetto del monologo di Dario fu dirompente. Il linguaggio del Mistero buffo era un’assoluta novità, l’interpretazione scoppiettante e la gestualità di Fo furono per noi una scoperta assoluta. All’ingresso organizzammo una raccolta fondi a offerta libera per il Movimento che fruttò circa 200 mila lire in monete da cento e da cinquanta, poi utilizzate per produrre volantini e striscioni”.
Fu un momento di cultura e di grandi risate, ma in un clima di grande tensione politica. Lo ricorda Giuseppe Liverani, allora studente di Scienze politiche, che con Mario Capanna, Salvatore Toscano e Luca Cafiero era uno dei leader del Movimento della Statale. “La tensione era alta. Le mobilitazioni continue. L’11 marzo 1969 avevamo contestato in aula il professor Pietro Trimarchi: fu fatto passare per ‘sequestro’. I fascisti provocavano con spedizioni e bombe molotov contro la Statale e l’Hotel Commercio di piazza Fontana, occupato dal Movimento Studentesco e dagli anarchici. Il 25 aprile erano scoppiate bombe alla Fiera e alla Stazione Centrale: accusati gli anarchici, erano invece i primi attentati terroristici del gruppo nero di Franco Freda e Giovanni Ventura. Noi, per tutta risposta, abbiamo occupato l’aula magna per farci entrare la cultura”. Primi invitati, Dario Fo e Franca Rame.
“Quel 30 maggio 1969 la situazione era surreale”, racconta Liverani. “Migliaia di studenti in aula magna, il resto dell’università deserta. Solo le squadre del servizio d’ordine presidiavano gli ingressi e il chiostro del Filarete, pronte a difendere l’ateneo e a sventare possibili provocazioni dei fascisti. Io ricordo ben poco dello spettacolo, sentivo da fuori la voce tonante di Dario, le risate degli studenti, gli applausi del pubblico. Che sospiro di sollievo, quando lo spettacolo finì, e Franca e Dario se ne andarono raggianti: si era conclusa bene una delle giornate più significative del lungo Sessantotto milanese”.
Di lì a pochi giorni, il 9 giugno, Liverani fu arrestato, insieme a Capanna, Toscano e altri studenti, per il caso Trimarchi. Seguirono manifestazioni di protesta, mentre si preparava l’“autunno caldo” degli operai impegnati nel rinnovo dei contratti e nella richiesta di democrazia in fabbrica.
Indimenticabili quegli anni. Il 15 agosto 1969 la radio e la tv (allora era solo Rai) censura la canzone di Jane Birkin e Serge Gainsbourg, Je t’aime, moi non plus. Il 15 ottobre, 36 milioni di americani sfilano nelle principali città degli Stati Uniti contro l’intervento in Vietnam. Il 19 novembre, durante una manifestazione di operai e studenti caricata dalla polizia, muore a Milano l’agente Antonio Annarumma. “Il 12 dicembre”, conclude Liverani, “arriva la risposta violenta al ’68 studentesco e al ’69 operaio: scoppia la bomba in piazza Fontana; viene arrestato l’anarchico Pietro Valpreda; cade da una finestra della questura l’anarchico Pino Pinelli”. Sui muri di Milano compaiono scritte che dicono: “Valpreda è innocente, la strage è di Stato”. Ma anche altre che piacevano molto a Dario Fo: “Una risata vi seppellirà”.
E ora tocca a Mario Pirovano, giullare per caso
Tocca a lui, ora che Dario e Franca non ci sono più. Mario Pirovano reciterà il Mistero buffo, 50 anni dopo la prima. Nello stesso teatro, l’Ariston di Sestri Levante, dove Fo debuttò con la sua giullarata il 1 ottobre 1969. Poi Pirovano la porterà al Piccolo Teatro Grassi, dall’8 al 20 ottobre. Il 21 sarà sul palco della Sala Umberto di Roma. E infine Canada, Israele, Bielorussia… “E pensare che io non sapevo neppure che cosa fosse il teatro”, racconta. La sua è una storia da giullarata moderna. “Erano i primi anni Ottanta. Io, nato a Pregnana Milanese – un paese che si chiama Pregnana perché ci facevano la monta per rendere pregne le vacche – vivevo a Londra, dove vendevo voli charter tra l’Italia e l’Inghilterra. I miei miti erano gli Animals, i Beatles, i Rolling Stones. Amavo la chitarra elettrica, al teatro proprio non pensavo”.
Dario Fo arriva a Londra, per portare in scena il suo Mistero buffo. “Con un amico vado a trovarlo prima dello spettacolo, per onorare la sua figura politica, il suo essere un punto di riferimento per il Movimento. Lui ci accoglie, chiacchiera con noi. Poi ci dà appuntamento a dopo lo spettacolo. Ma io non avevo nessuna voglia di andare a vederlo. Consideravo noioso il teatro e non avevo neppure il biglietto. Mi sono sentito obbligato a restare. Mi sono seduto in platea. Ho riso per due ore. E ridevano anche gli inglesi, che evidentemente capivano il grammelot di Dario. Poi Franca Rame mi ha proposto di andare a lavorare con loro. Detto, fatto: per 15 anni sono stato con Dario e Franca, vivevo a casa loro”.
Pirovano ha fatto il trovarobe, l’autista, l’aiuto suggeritore, la comparsa… “Soprattutto vendevo il materiale durante gli spettacoli: libri, dischi, manifesti, audiocassette, videocassette…”. Poi, un bel giorno, gli capita la seconda occasione che gli cambia la vita. “Ero ad Alcatraz, dove Jacopo Fo, il figlio di Dario e Franca, gestisce la sua Libera Università. C’erano dei ragazzi in visita con i loro professori. Mentre lavoravo nell’orto, non visto, sento un gruppo di ragazzi che litigano furiosamente tra loro, dicendosene di tutti i colori. Salto fuori e li riprendo: ‘Ma cosa dite? Ma come vi trattate?’. Per far capire che avevano sbagliato, racconto loro un pezzo del Mistero buffo: Il primo miracolo di Gesù Bambino. Mi accorgo che lo so a memoria, glielo recito tutto. La sera le insegnanti, a cui i ragazzi avevano raccontato la cosa, mi chiedono di recitarlo di nuovo. Volevo scappare. Ma insistono, lo devo fare. Così ho cominciato a fare l’attore”.
Non ha più smesso, Pirovano. “Io non volevo farmi vedere da Dario. Mi vergognavo. Ho recitato Il miracolo di Lazzaro all’Università di Firenze, nel corso del professor Pio Baldelli, ma prima ho aspettato che Dario uscisse dalla sala. Una sera ho recitato il Mistero buffo a una Festa dell’Unità in Umbria. Dario era venuto e si era nascosto nel pubblico. Il giorno dopo viene da me e, ridendo, mi urla: ‘Ti ho visto ieri sera!’”.
Sono tante le storie che si sono via via aggiunte a Mistero buffo. “A recitarle tutte non basterebbero due giorni”, ride Pirovano. Alla serata di Sestri per ricordare i 50 anni metterà in scena le sue preferite: Nascita del giullare; La fame dello Zanni; Resurrezione di Lazzaro; Bonifacio VIII e Il primo miracolo di Gesù Bambino. “Nella prima, si racconta che il giullare nasce da un miracolo di Gesù: un contadino era stato privato di tutto, del suo campo, dei suoi figli, della moglie violentata dal Signore. Arriva Gesù che con un bacio gli dà la capacità di reagire, raccontando la sua storia: lo trasforma in giullare”.
E Pirovano va rivivere Dario
A Mario Pirovano, l’attore-giullare che riporta in scena Mistero buffo 50 anni dopo la prima, arrivano applausi, messaggi, lettere. Perfino disegni, come quello di un bambino di dieci anni che appena tornato a casa con la mamma, dopo teatro, rappresenta Gesù con tanto di croce sulla spalla che sferra un calcione tremendo al papa Bonifacio VIII, “in quel posto che da allora sarà chiamato osso sacro”.
Pirovano è diventato attore quasi per caso. Assistente fac totum di Dario Fo per 15 anni, ha assorbito lo spirito del giullare giorno dopo giorno, mentre in fondo alle sale in cui Dario Fo e Franca Rame mettevano in scena i loro spettacoli vendeva libri, dischi, manifesti, audiocassette, videocassette… Ora tocca a lui dare vita ai cento personaggi che animano Mistero buffo. Santi e contadini, potenti spietati e ribelli irridenti, preti untuosi e poveracci pieni di dignità, ubriachi che si sostituiscono agli arcangeli e papi usi a far inchiodar per la lingua, alle porte delle città, i frati poveri che predicavano contro i signori.
Dario ci teneva a dare ascendenze colte al suo testo, a richiamare studi dotti, testi antichi, tradizioni sapienti, vangeli apocrifi. Tutto vero, ma era poi la sua fantasia a far forma ai personaggi e corpo alle storie. E non erano il passato, l’antichità, il Medioevo a fornire la materia prima bruciante ed esilarante di quelle storie, ma il presente, l’attualità, la politica, a partire dal ’68 degli studenti e il ’69 degli operai. Fo la racconta in una lingua inventata, il grammelot, in cui s’incrociano dialetti padani, echi di linguaggi antichi, scherzi e onomatopee.
Cinquant’anni dopo la prima (il 30 maggio 1969 nell’aula magna dell’Università Statale occupata, il 1 ottobre 1969 all’Ariston di Sestri Levante), Mario Pirovano fa ridere e pensare e riesce nell’impresa impossibile di far dimenticare, almeno per due ore, che Dario Fo non c’è più. Sono le sue storie, ma anche le sue movenze, le sue inflessioni, i suoi guizzi, perfino la sua voce a rivivere sulla scena. E a far scordare che viviamo nel “tempo della povertà”, sopite le grandi passioni civili e politiche che erano le quinte del teatro di Dario Fo e Franca Rame.
Per questa ripresa, Pirovano ha scelto alcune delle tante giullarate che compongono Mistero buffo e che “a recitarle tutte non basterebbero due giorni”. Propone Resurrezione di Lazzaro; La fame dello Zanni; Bonifacio VIII; Il primo miracolo di Gesù Bambino e La nascita del giullare, che Dario non aveva più messo in scena dopo il tremendo sequestro fascista di Franca Rame, perché in quella storia si racconta lo stupro della moglie del contadino che, privato dal Principe Padrone di ogni suo bene, della terra, dei suoi figli, della moglie, del suo onore, tenta di uccidersi ma viene salvato da Gesù in persona che gli concede il dono più prezioso e potente per sopravvivere: la lingua sciolta e tagliente del giullare per irridere i potenti e seppellire, con una risata, il potere.
Milano, Piccolo Teatro Grassi, fino a domenica; Roma, Sala Umberto, 21 ottobre