Imane Fadil, la Procura chiude il caso
di Gianni Barbacetto e Maddalena Oliva /
Nessun avvelenamento. Nessuna intossicazione da metalli pesanti. Niente polonio radioattivo. Nessuna cura sbagliata o colpa medica. Imane Fadil è morta il 1 marzo 2019 per una grave malattia, l’aplasia midollare, associata a un’epatite acuta. Il suo midollo spinale non produceva più globuli bianche e globuli rossi. Dopo sei mesi di attesa e una consulenza tecnico-scientifica di cento pagine, la Procura di Milano ha deciso di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta aperta per omicidio, nell’ipotesi che la giovane donna potesse essere stata avvelenata. Ma la famiglia e gli avvocati che la affiancano sono insoddisfatti: “La consulenza non scioglie affatto i dubbi, né sulle cause della morte, né sulla correttezza delle cure mediche”.
I magistrati che hanno guidato l’indagine (il procuratore Francesco Greco, l’aggiunto Tiziana Siciliano, il sostituto Luca Gaglio) fanno ascoltare in conferenza stampa la telefonata che ha dato il via all’inchiesta. Imane, con la voce ridotta a un soffio, il 12 febbraio dice al suo avvocato di allora: “Paolo, il medico mi ha detto che dai risultati sembra che mi abbiano avvelenata. Io lo sapevo già che volevano farmi fuori. Io sto morendo…”.
Ricoverata all’ospedale Humanitas il 29 gennaio, già in gravi condizioni, muore trenta giorni dopo. Subito dopo il decesso, l’avvocato Paolo Sevesi porta in Procura la registrazione della telefonata. “Abbiamo subito aperto un’inchiesta per non lasciare dubbi irrisolti”, spiega Greco. Anche perché Imane, 34 anni, era una testimone chiave nei processi sulle feste del bunga-bunga ad Arcore a carico di Silvio Berlusconi. “La nostra reazione, ascoltando la telefonata, è stata di incredulità e preoccupazione, perché il file ci è stato consegnato molto tempo dopo la telefonata e perché l’ospedale non ci aveva comunicato nulla sull’ipotesi di avvelenamento”.
I medici dell’Humanitas rilevano subito i sintomi dell’aplasia midollare e ne cercano, invano, le cause. Escludono l’avvelenamento da cianuro. Trovano metalli pesanti nel sangue della ragazza. Un esame rileva addirittura tracce di radioattività. Ma ora la consulenza del gruppo di sei esperti guidati dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo conclude che la morte è sopravvenuta per una malattia “estremamente rara e di estrema gravità, il cui esito infausto è purtroppo frequente”.
“La consulenza ha dato una risposta certa sulla malattia”, commenta Greco, “ma non è assolutamente possibile capire la causa che l’ha generata”. Succede “nella maggior parte dei casi”, tanto che l’aplasia midollare viene definita “idiopatica”. La presenza nel sangue di metalli pesanti, nichel e cromo, è stata giudicata insufficiente a provocare la morte, perché i valori “rientravano in quelli riscontrati nella popolazione generale”. Le tracce di raggi alfa nelle urine (“con una frequenza vicina a quella del polonio”, sottolinea il procuratore) sono state spiegate con “anomalie tecniche del sistema”. La piridina riscontrata nel corpo di Imane e solitamente presente in pesticidi e diserbanti “è stata rilasciata da un antibiotico”. Niente di anomalo.
I medici eseguono due biopsie del midollo. La prima, il 31 gennaio, mostra che la sua funzionalità è al 40 per cento. La seconda, il 19 febbraio, la vede ormai ridotta al 5 per cento. In questi casi gli interventi possibili sono due: la terapia immunosoppressiva e, se non basta, il trapianto di midollo osseo. Non sono stati eseguiti. “Le scelte terapeutiche degli ultimi giorni, successive alla diagnosi formale di aplasia midollare, non sono state coerenti con tale diagnosi”, scrivono gli esperti. Tuttavia, “non ci sono indicativi profili di colpa medica”, perché “qualunque corretta terapia immunosoppressiva con o senza trapianto di midollo osseo avrebbe richiesto molte settimane prima di poter modificare la storia clinica naturale di questa malattia”.
Non c’è stato il tempo, aggiungono i magistrati: gli esiti dell’ultima biopsia arrivano il 25 febbraio; Imane muore quattro giorni dopo. E comunque la paziente era ormai così indebolita da non riuscire più a sostenere un trapianto. Le cure sono state coerenti con la diagnosi? “Non sono stati rilevati profili critici”, rispondono gli esperti. L’equipe medica dell’Humanitas ha avuto una “notevole attenzione per la paziente”. Non resta dunque che archiviare. Non è d’accordo la famiglia di Imane. Si opporranno alla chiusura del caso i due legali, Mirko Mazzali e Nicola Quatrano. “Troppe cose restano senza spiegazione”.
La famiglia: “Troppe cose sono ancora da esplorare, affrettata la richiesta di archiviare”
La famiglia di Imane Fadil è insoddisfatta degli esiti a cui sono arrivati la Procura di Milano e i consulenti tecnico-scientifici che hanno consegnato la perizia sulla morte della ragazza. Già a pochi giorni dalla sua scomparsa – e da quel mese in cui la situazione precipitò così rapidamente, tra sospetti e paure – dicevano al Fatto Quotidiano: “Sappiamo solo che Imane è entrata viva in ospedale ed è uscita morta un mese dopo. Nessuno può ridarcela indietro. Vogliamo solo la verità”.
In questi sei lunghi mesi (il corpo della ragazza è tuttora senza sepoltura, e la famiglia ha deciso per il momento di non effettuare i funerali, per valutare ulteriori accertamenti), la madre, i fratelli Sam e Tarik, e la sorella Fatima hanno aspettato in silenzio la tanto attesa relazione autoptica: fino a ieri anche a loro sconosciuta.
“La consulenza non scioglie quasi alcun dubbio di quelli sollevati”, dichiara l’avvocato Nicola Quatrano, che con Mirko Mazzali assiste la famiglia di Imane. “Gli stessi consulenti scrivono che ci sono mille possibili cause per la malattia di cui è morta Imane, ma poi ne hanno esplorate solo alcune, concludendo che escludono l’avvelenamento. Eppure ci sono veleni che agiscono senza lasciare traccia. Ci sono sostanze che agiscono e poi scompaiono dal corpo, che con il passare del tempo diventano introvabili. Dunque c’è un campo che resta inesplorato. Per questo mi sembra affrettata la conclusione della Procura di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta per omicidio volontario. Rimane aperta un’intera prateria, tutta ancora da esplorare”.
Insoddisfatto anche per l’esclusione che ci sia stata colpa medica: “Le conclusione dei consulenti in questo caso sono immotivate”, dice Quatrano. “Come fanno a escludere le responsabilità mediche, senza spiegare il perché? Forse non ci sono, ma i consulenti non sciolgono i dubbi neppure sulle terapie praticate. Dicono che, quando è arrivata la diagnosi, era ormai troppo tardi per intervenire: ma non potevano diagnosticarla prima?”.
Quatrano spiega di aver potuto dare soltanto una prima lettura alle cento pagine della consulenza. “Nei prossimi giorni la studieremo a fondo, anche con l’aiuto di esperti. Ma già ora, a caldo, posso ribadire che la decisione della Procura di chiedere l’archiviazione mi pare affrettata. Sia per quanto riguarda l’esclusione dell’avvelenamento, sia per quanto riguarda l’adeguatezza delle cure mediche fornite a Imane”.
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