Fallimento dell’Unità: “Il pm non ha fatto indagini sul Pd”
A settembre si tornerà a parlare dell’Unità e di come è stata uccisa la storica testata fondata da Antonio Gramsci: l’occasione sarà l’udienza preliminare del processo per bancarotta fraudolenta con imputati, tra gli altri, Renato Soru, fondatore di Tiscali, ex governatore della Sardegna ed ex eurodeputato del Pd, e l’imprenditore Maurizio Mian che gli è succeduto come editore del giornale.
Ora i difensori di Mian e di due consigliere d’amministrazione (Olena Pryschchepko e Carla Maria Riccitelli) della società Nie, Nuove iniziative editoriali, che ha mandato il giornale in edicola dal 2008 al 2015, protestano contro il pm che ha svolto l’indagine: Stefano Fava, magistrato in servizio alla Procura di Roma coinvolto nella vicenda che ha travolto il Csm e l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. Fava ora è indagato dalla Procura di Perugia per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio proprio a favore di Palamara, in relazione a tutt’altre inchieste.
I legali Pasquale Pantano e Davide Contini avevano chiesto a Fava di approfondire il ruolo del Pd nella crisi dell’Unità. “Dopo che il pm ci ha notificato nell’aprile dell’anno scorso l’atto di chiusura delle indagini, abbiamo constatato che nella consulenza tecnica da lui disposta mancava tutta la parte relativa al ruolo del Partito democratico e perfino i documenti societari necessari per stabilire le responsabilità nella gestione”. Pantano e Contini hanno quindi presentato un’istanza al pm chiedendo di verificare, tra l’altro, l’esistenza di un patto parasociale “in forza del quale la concreta gestione dell’affare sociale di Nie era concentrata nelle esclusive mani del Partito democratico, per il tramite di Eventi Italia srl”. Era ancora il Pd di Matteo Renzi.
I due legali nella loro richiesta richiamano anche le interviste di tre uomini del Pd – Matteo Orfini, Matteo Fago e Antonio Misiani – che confermano il fatto che su Nie decideva il partito. Chiedono al pm di sentire nuovi testimoni: Misiani, ex tesoriere Pd, che secondo un testimone avrebbe firmato il patto parasociale; Orfini, presidente del Pd fino al marzo 2019; e Lino Paganelli, amministratore unico di Eventi Italia srl. Fava risponde alle richieste dei due avvocati con poche righe scritte a mano: “Si rigettano le richieste istruttorie potendo provvedere la difesa all’acquisizione dei documenti e all’assunzione delle informazioni”.
Gli avvocati Pantano e Contini restano di sasso: “In sostanza il pubblico ministero ci dice di fare noi, di indagare noi sul Pd, quando invece spetterebbe a lui”. I due legali avevano allegato alle loro richieste anche una memoria di Mian in cui l’imprenditore scriveva: “Ho registrato una perdita di quasi 14 milioni di euro, frutto di una gestione a dir poco arrogante da parte del Pd che usava la Nuova società editrice (Nie) per assecondare i propri principi politici”.
A settembre, accusa e difese si confronteranno nell’udienza preliminare, in cui anche Soru, su un versante opposto, protesterà contro le accuse che gli sono state contestate dal pm: “Non sono mai stato nel consiglio d’amministrazione della Nie e non ho mai svolto alcun ruolo in quella società. Nel 2008, quando ne controllavo il capitale, avevo scelto gli amministratori. Tuttavia, come sarà facile appurare, ne ho perso il controllo già nel 2012 con l’arrivo del nuovo azionista Mian. All’epoca dei fatti contestati la mia partecipazione era scesa sotto il 5 per cento. Pertanto, diversamente da quanto sostiene l’accusa, non avevo alcuna possibilità di poter incidere nelle decisioni di gestione della società”.
Il pm Fava, interpellato dal Fatto quotidiano, spiega di aver indagato tutti coloro i quali hanno avuto cariche e responsabilità nella società editrice finita in bancarotta: “Un conto è dire che il partito politico abbia avuto un influsso sulla testata, altro è individuare specifiche responsabilità penali. Dagli atti non sono emerse responsabilità di altri che possano aver cagionato il dissesto, in concorso con gli amministratori formali”.
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