Bologna. La nuova perizia sull’esplosivo conferma la pista nera
Una perizia disposta dalla Corte d’assise che sta processando il nero Gilberto Cavallini per la strage di Bologna ha fatto esultare i neri Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, già condannati per l’attentato: “Dimostra che noi siamo estranei e conferma il ruolo di Carlos”. È, nelle speranze dei due terroristi dei Nar (i Nuclei armati rivoluzionari), la rinascita della “pista palestinese” che attribuirebbe l’attentato al gruppo guidato da Ilich Ramírez Sánchez detto Carlos, lo “Sciacallo” del romanzo di Frederick Forsyth.
Terrorista, mercenario, venezuelano per nascita, palestinese per cittadinanza, sedicente rivoluzionario marxista-leninista, forse agente del Kgb, Carlos, insieme a due terroristi tedeschi di estrema sinistra, Thomas Kram e Christa Margot Frohlich, è stato più volte negli anni scorsi indicato come possibile responsabile della strage, che sarebbe stata provocata da esplosivo palestinese: l’ennesimo depistaggio, secondo i magistrati, per cercare di salvare i neri dei Nar.
Ma davvero la nuova perizia rimette in circolo il vecchio depistaggio? No. La storia è molto diversa. Tra il maggio e il luglio 2018, il presidente della Corte d’assise Michele Leoni nomina due consulenti tecnici, l’esperto geominerario ed esplosivista Danilo Coppe (il tecnico che ha fatto esplodere il troncone del ponte Morandi di Genova) e il tenente colonnello del Ris carabinieri Adolfo Gregori. Incarico: spiegare quale esplosivo è stato usato per la strage e se è compatibile con le “indicazioni tecniche fornite da Sergio Calore”, terrorista nero, in un suo interrogatorio del dicembre 1987.
Coppe e Gregori si mettono al lavoro e il 20 giugno 2019 consegnano il loro rapporto di 162 pagine. Allineano fatti, ricerche, analisi di laboratorio. Certificano che l’esplosivo della strage di Bologna è compatibile con quello utilizzato in quegli anni dai fascisti. Poi, a pagina 141, riferendosi a un interruttore che hanno trovato tra i reperti e che potrebbe forse essere quello del detonatore dell’ordigno, scrivono due righe: “Dispostivi simili risultano essere stati presenti nell’ordigno destinato a Tina Anselmi e anche a quello trasportato dalla Christa Margot Frohlich quando arrestata a Fiumicino”.
Ecco dunque comparire il nome della Frohlich, terrorista di sinistra, forse legata al gruppo di Carlos, che quando fu arrestata nel 1982 aveva con sé una valigia che conteneva materiale esplosivo. Indagata per strage insieme a Kram, fu con lui archiviata per inconsistenza della cosiddetta “pista palestinese”. A queste due righe dei consulenti si attaccano Mambro e Fioravanti per rilanciare una pista che possa scagionarli. Ma tutto il resto delle 162 pagine non li scagiona affatto.
Anzi: non li scagiona neppure la metà di quelle due righe, perché “l’ordigno destinato a Tina Anselmi”, allora presidente della commissione parlamentare d’indagine sulla P2, non ha certo niente a che fare con la “pista palestinese” e ha invece molto a che fare con gli stragisti fascisti finanziati e protetti dal Maestro Venerabile della loggia P2, Licio Gelli.
Che cosa dicono, davvero, i due consulenti? Che “l’ordigno esploso il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna era costituito essenzialmente da Tritolite e/o Compound B (Tnt + Rdx o T4) di sicura provenienza da scaricamento di ordigni bellici (seconda Guerra mondiale)”. Che è difficile comparare l’esplosione di Bologna con altri attentati, ma qualche analogia potrebbe essere trovata con “l’attentato al treno Italicus”, strage nera realizzata nel 1974. Che le dichiarazioni di Calore sono confermate: “Si può riferire che, nelle indicazioni del Calore, emerge un’evidente congruenza circa l’origine dell’esplosivo derivante dallo scaricamento di residuati bellici”.
Insomma: il suggestivo richiamo all’ordigno “rosso” della Frohlich è una riga, annegata nelle migliaia di righe che confermano la presenza dell’esplosivo “nero” per eccellenza, il T4, tritolo militare recuperato negli anni Settanta dai fascisti di Ordine nuovo. Lo racconta la sentenza-ordinanza firmata nel 1998 dal giudice istruttore Guido Salvini. Spiega come il gruppo fascista fondato da Pino Rauti, che aveva tra i suoi dirigenti Massimiliano Fachini e Carlo Maria Maggi (condannato per la strage di Brescia), recuperava gli ordigni che i nazisti in fuga dall’Italia nel 1945 avevano affondato nei laghi del Nord.
“Esponenti del vecchio gruppo veneto di Ordine Nuovo (fra i quali, in particolare, Massimiliano Fachini e Roberto Rinani)”, scrive Salvini, avevano raccolto “una notevole quantità di esplosivo recuperato da residuati bellici (si pensava, allora, come luogo di recupero, al lago di Garda e non ai laghetti di Mantova, indicati nella presente istruttoria da Carlo Digilio), inviati tramite emissari alla struttura romana erede di Ordine nuovo per il successivo utilizzo sia nei grandi attentati, pur senza vittime, del 1978/1979 (l’attentato al Campidoglio, alla sede del Csm e così via) sia alla strage alla stazione di Bologna”.
È Digilio, l’esperto di armi ed esplosivi di Ordine nuovo, a raccontare a Salvini i “ripetuti e massicci invii di esplosivo, sia tritolo sia altro esplosivo di provenienza bellica, alla struttura romana a partire dal 1978”. Niente “pista palestinese”, dunque: la strage di Bologna resta nerissima.
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