Non solo Roma. Anche la Procura di Milano sta indagando sui soldi della Lega. Ha aperto un’inchiesta sull’associazione Più Voci, presieduta dal tesoriere leghista Giulio Centemero. Al lavoro i pm guidati dal procuratore milanese Francesco Greco, che stanno verificando se alcune donazioni destinate alla onlus di area leghista siano regolari o se si tratti di finanziamenti illeciti.
Un’indagine simile è aperta da tempo a Roma, dove la Procura indaga Centemero per finanziamento illecito. I magistrati Paolo Ielo, Luigia Spinelli e Barbara Zuin stanno esaminando i 250 mila euro che nel 2015 l’associazione Più Voci ha ricevuto da una società che era riconducibile al gruppo di Luca Parnasi, l’imprenditore romano poi finito sotto inchiesta con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione.
È proprio indagando sul costruttore che gli investigatori ascoltano alcune conversazioni in cui si fa cenno a versamenti alla Più Voci. Viene registrato un dialogo avvenuto dopo che Parnasi era stato contattato da un giornalista dell’Espresso che aveva chiamato per avere chiarimenti proprio sui 250 mila euro versati alla onlus in due tranche da 125 mila. Il commercialista Gianluca Talone propone a Parnasi: “Cerchiamoci una giustificazione, perché è stata fatta l’erogazione liberale!”.
E Parnasi replica: “Possiamo giustificare che abbiamo un progetto ex post! Se no bisognerebbe incontrarli domattina, capito? Dovremmo fare… se tanto firmo io basta fare un pezzo di carta”. E poi aggiunge: “Posso chiamare Giulio Centemero, è il braccio destro!”. In seguito però ci ripensa: “Andrea (Manzoni, commercialista, membro del consiglio dell’associazione Più Voci, estraneo alle indagini, ndr) va benissimo! Chiama Andrea da un fisso in ufficio, e dici: ‘Senti, ci ha chiamato L’Espresso!’”.
La Procura di Roma ora sospetta che la onlus possa essere stata usata per una dazione indiretta alla Lega. Circostanza che il tesoriere Giulio Centemero in passato ha sempre smentito: più volte ha ripetuto che si trattava di contributi regolari, spiegando che neanche un centesimo è mai andato al partito di Matteo Salvini.
A spiegare a cosa servissero quei soldi poi è stato Parnasi quando è stato interrogato. Il 28 giugno 2018, al pm Paolo Ielo che chiede: “Era un modo per far affluire i soldi direttamente alla Lega?”, l’imprenditore romano spiega: “Il mio fu un modo per fidelizzare un gruppo di persone che comunque sia mi avrebbero forse potuto creare delle opportunità imprenditoriali”. Il pm insiste: “Un modo per far arrivare i soldi alla Lega?”. Parnasi prima risponde: “Probabilmente sì”. Poi quando Ielo ripropone la domanda: “Era un modo per far arrivare i soldi alla Lega attraverso questa fondazione?”, replica: “Non posso dirle con certezza, questo”.
Questa è la vicenda romana. Ora sulla onlus Più Voci si è appuntata l’attenzione anche della Procura di Milano, dove Centemero non risulta indagato. Nel mirino dei magistrati c’è un altro contributo, che per ora non è stato reso noto. (di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli, Il Fatto quotidiano, 7 maggio 2019)
I soldi di Esselunga in soccorso alla Lega?
Un finanziamento della Esselunga alla onlus di area leghista Più Voci. È questo l’oggetto della nuova indagine della Procura di Milano che – come rivelato ieri dal Fatto quotidiano – ha aperto un fascicolo sull’associazione presieduta dal tesoriere della Lega, Giulio Centemero. L’inchiesta riguarda 40 mila euro versati da Bernardo Caprotti, il patron della Esselunga, poi scomparso nel settembre 2016.
I pm milanesi hanno aperto un fascicolo “a modello 44”, cioè con l’indicazione del reato – finanziamento illecito – ma per ora senza alcun nome di persona indagata. Esselunga ha regolarmente iscritto a bilancio l’erogazione come finanziamento a Più Voci. Ma i magistrati ipotizzano che si tratti di un modo obliquo per far arrivare soldi alla Lega. Ritengono dunque che si tratti di un finanziamento illecito, che scatta, come dice il comma 2 dell’articolo 7 della legge che regola i contributi alle formazioni politiche, quando un privato versa denaro “a partiti o loro articolazioni politico-organizzative”, senza che il partito lo dichiari.
Più Voci, secondo l’ipotesi della Procura di Milano, è una “articolazione politico-organizzativa” della Lega, messa in campo in una fase in cui, a causa delle condanne ricevute, tutti i soldi affluiti su conti riconoscibili della Lega sarebbero finiti sotto sequestro. Del versamento di Esselunga si era già occupato L’Espresso. Secondo quanto riportato dal settimanale, la causale del bonifico di 40 mila euro “versato a giugno 2016, recita ‘contributo volontario 2016’”. All’Espresso Esselunga aveva spiegato che quella somma di denaro “era stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio”.
Sul versamento partito da Esselunga, ma anche su altro denaro affluito all’associazione Più Voci, ora cerca di fare luce la Procura di Milano. Perché se è vero che la onlus non ha obbligo di presentare bilanci, aveva però un conto corrente bancario su cui non è difficile controllare le entrate. L’ipotesi che i magistrati guidati dal procuratore Francesco Greco stanno verificando è che Centemero fosse alle prese, nel 2015, con la crisi di Radio Padania, l’emittente radiofonica della Lega, che per sopravvivere aveva urgente bisogno di fondi.
Il rischio era però che fosse considerata dai pm un organo del partito, con il rischio che i soldi arrivati sui suoi conti potessero essere sequestrati. Ecco allora – secondo le ipotesi investigative – l’utilizzo, per la raccolta di fondi per la Lega e le sue attività, di una associazione, Più Voci, che meno facilmente poteva essere individuata come strumento del partito, benché avesse come presidente il tesoriere della Lega.
Anche la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla Più Voci e (a differenza di Milano) ha già iscritto Centemero nel registro degli indagati per finanziamento illecito. In questo caso i pm capitolini indagano su 250 mila euro ricevuti nel 2015 da una società del gruppo di Luca Parnasi, l’imprenditore poi indagato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la Pubblica amministrazione. (di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli, Il Fatto quotidiano, 8 maggio 2019)