L’ultima cena di Imane Fadil: l’uomo del mistero è l’avvocato
Nella foto: l’avvocato Giuseppe Napoleone (al centro) insieme all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy e al ciclista Mario Cipollini.
L’ormai famoso commensale dell’ultima cena a cui partecipò Imane Fadil, nel gennaio scorso, qualche giorno prima di essere ricoverata in quell’ospedale milanese dove poi trovò la morte, è stato ascoltato dai pm che indagano sul caso. Di lui il Fatto quotidiano scrisse per primo nell’intervista ai familiari della ragazza italo-marocchina, pubblicata subito dopo la notizia dell’apertura dell’inchiesta per omicidio da parte della Procura di Milano. L’uomo non era una nuova conoscenza per Imane. Era stato in passato il suo avvocato, assieme alla collega Danila De Domenico, nel processo per diffamazione contro Emilio Fede. L’allora direttore del Tg4, durante l’edizione serale del telegiornale del 17 settembre 2011, aveva accusato Imane Fadil di aver tentato di estorcergli 50 mila euro, in cambio del silenzio sulle serate passate in casa di Silvio Berlusconi. E aveva sostenuto che l’ex modella, allora testimone al processo Ruby bis, avesse detto ai pm “falsità pericolose”.
Nessun uomo del mistero per quella cena, quindi, ma un conoscente, legato forse a un periodo ancora felice per la ragazza. Era stato richiamato da Imane, proprio qualche giorno dopo l’udienza del Ruby ter del 14 gennaio scorso, quando venne respinta la sua richiesta di costituzione di parte civile. Imane era amareggiata, sconfortata, non solo per l’esito della decisione relativa al processo, a cui si stava ormai ossessivamente dedicando da anni, ma anche perché – raccontano i suoi familiari – nutriva sempre meno fiducia nei legali che, di anno in anno, di processo in processo, cambiava perché non soddisfatta. “Ecco perché decise di richiamare l’avvocato Giuseppe Napoleone”, spiega la sorella di Imane, Fatima Fadil. “Di lui si fidava, dal punto di vista professionale intendo. Sperava con lui di arrivare a dare un senso alla sua battaglia per la verità, oltre che a ottenere un risarcimento che lei riteneva fosse giusto le venisse riconosciuto”.
Giuseppe Napoleone, 51 anni, è un avvocato di successo. Famoso per aver seguito alcuni dei processi sportivi più delicati, doping e non solo, soprattutto in difesa di ciclisti come Mario Cipollini (poi suo grande amico), ha uno studio legale a Latina e un altro a Viareggio. Divenuto ciclista per passione anche lui. “Allo sprint vado forte grazie ai consigli di Mario”, disse in un’intervista al Tirreno anni fa: anche se la curiosità vera che lo riguarda, cercando sul web, è la foto-ricordo del 2013 con l’allora presidente Nicolas Sarkozy, quando assieme a Cipollini gli consegnarono una bicicletta “Cipollini bond”. Fu travolto anni fa in un pauroso – e misterioso – incidente, mentre era in bici ad allenarsi, nei pressi di Camaiore. “Una Jeep all’improvviso ha letteralmente tagliato la strada a Giuseppe”, raccontò alle cronache locali Cipollini.
Ed è proprio in Toscana – assieme a Napoleone, l’allora sua compagna, Cipollini e la figlia – che Imane e la sorella Fatima in passato hanno anche trascorso qualche giorno in vacanza: “È capitato una volta, facemmo anche un giro in barca, ma io e mia sorella dormivamo in albergo, a nostre spese… I rapporti tra lei e l’avvocato, almeno per Imane, sono sempre stati chiari. Giusto qualche cena a Milano, al Cavallini, ma niente di più, anche se l’avvocato poteva aver magari manifestato a volte dell’interesse nei confronti di mia sorella…”.
Contattato dal Fatto, Giuseppe Napoleone ha preferito non rispondere alle domande. I magistrati di Milano Tiziana Siciliano, Luca Gaglio e Antonia Pavan, che da quasi due mesi stanno cercando di venire a capo della morte della ex modella 34enne, l’hanno ascoltato quale persona informata dei fatti, così come hanno fatto con tutte le altre persone coinvolte nelle ultime settimane di vita di Imane: i familiari, gli amici, l’insegnante d’inglese e mental coach John. Dalla Procura si sottolinea come la circostanza della cena con l’avvocato Napoleone, la sera del 16 gennaio scorso, una decina di giorni prima del ricovero della ragazza all’Humanitas, non fosse altro che una “normalissima cena di lavoro”: allo stato attuale un’evenienza “in nessun modo cruciale al fine delle indagini”.
A giorni, i pm – e la famiglia, ancora senza risposte – aspettano i risultati degli esami autoptici eseguiti sul corpo di Imane, a partire dal 26 marzo, dal pool guidato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, che dovrebbero chiarire le cause del decesso. La Procura ha ancora sul tavolo tutte le piste: morte naturale per una malattia fulminante (l’ipotesi per cui ancora si propende maggiormente), avvelenamento inconsapevole, avvelenamento doloso. Ma, trapela da ambienti investigativi, non c’è un momento preciso a partire dal quale Imane Fadil avrebbe iniziato a manifestare quel malessere fisico che poi l’avrebbe condotta fino alla morte, dopo un’agonia di più di un mese in ospedale. Mancherebbe quel “momento X” a cui gli inquirenti vorrebbero aggrapparsi per guardare in una direzione piuttosto che in un’altra. E, soprattutto, mancherebbe un potenziale movente e, quindi, un potenziale sospettato.