Arrestate Roberto Casula. È la richiesta della Efcc, l’agenzia speciale anticorruzione della Nigeria, accolta dal giudice federale del Paese africano che ha disposto l’arresto di sei persone, tra cui due manager dell’Eni, Casula e Stefano Pujatti, e due ex ministri nigeriani, quello del petrolio, Dan Etete, e della giustizia, Mohammed Adoke Bello. Devono “essere arrestati ovunque si trovino”, ha stabilito il giudice nigeriano, in forza del diritto anglosassone, “vista la loro persistente assenza davanti alla Corte” da cui erano stati convocati. Ora i sei sono ricercati dalla polizia della Nigeria e dall’Interpol. Dunque anche in Italia, dove vivono Casula, capo operazioni e tecnologia di Eni, e Pujatti, responsabile finanziario di Eni East Africa.
La vicenda è quella di Opl 245, un gigantesco campo d’esplorazione petrolifera conquistato da Eni e Shell nel 2011. Secondo un’inchiesta per corruzione internazionale aperta dalla Procura di Milano, le due compagnie petrolifere per ottenere i diritti di sfruttamento pagarono 1,3 miliardi di dollari su un conto del governo nigeriano. Ma neppure un cent restò nelle casse pubbliche, perché i soldi furono girati, dirottati e dispersi in una girandola di conti in giro per il mondo. Finirono – secondo le ipotesi d’accusa – alla società nigeriana Malabu Oil & Gas Ldt, dietro cui c’è Dan Etete, l’ex ministro del petrolio che nel 1998 aveva venduto a Malabu, cioè a se stesso, la concessione di Opl 245, al prezzo di soli 20 milioni di dollari.
Una parte del danaro pagato da Eni e Shell finisce nelle tasche di governanti della Nigeria e mediatori italiani e internazionali (gli italiani Luigi Bisignani e Gianfranco Falcioni e il russo Ednan Agaev), con qualche stecca tornata nelle tasche dei manager Eni: 917 mila dollari sarebbero arrivati a Vincenzo Armanna; 50 milioni in contanti a Casula, allora responsabile delle attività operative in Nigeria; 21 milioni di franchi svizzeri al mediatore Gianluca Di Nardo.
Il caso è oggetto di un processo in corso a Milano, in cui i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno portato a giudizio le due società, Eni e Shell, e undici persone, tra cui l’ad di Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. In Nigeria lo scandalo è restato a lungo coperto, finché il vecchio presidente, Goodluck Jonathan, non è stato sostituito dal nuovo, Muhammadu Buhari, eletto due anni fa dopo aver promesso di combattere cla corruzione.
È stata allora costituita la Efcc (Economics and Financial Crimes Commission), una superpolizia che va a caccia dei reati economici e finanziari. Il suo presidente, Ibrahim Magu, scelto direttamente dal presidente Buhari, ha condotto un’inchiesta su Opl 245 e ha fatto aprire un processo che ha coinvolto ex politici nigeriani e responsabili di Eni e Shell. Gli indagati non si sono presentati, e dunque è scattato il mandato d’arresto.