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Walter Mapelli, il magistrato che sapeva ascoltare

Walter Mapelli, il magistrato che sapeva ascoltare

Ha lasciato alla sua Procura queste parole: “Nel nostro tempo insieme ho cercato di ascoltare e comprendere, di perseguire l’interesse comune e di essere un punto di riferimento autorevole. La vostra crescita è stata la più bella e ammirevole risposta che potessi avere. Qualunque cosa succeda, continuate così: avete forza, qualità e un Aggiunto all’altezza. Un abbraccio dal profondo del cuore”. È il commiato di Walter Mapelli, procuratore di Bergamo. Se n’è andato l’8 aprile, portato via troppo presto dalla malattia che lo inseguiva da anni. È stato comunque fino all’ultimo presente nella sua Procura.

Lo ricordiamo con la sua bicicletta e la sua borsa da tennis. Oppure seduto dietro la sua scrivania, prima nella sua stanzetta alla Procura di Monza, poi nell’ufficio di procuratore della Repubblica a Bergamo, sempre sorridente e un po’ sornione.

Un pm che ha lavorato a lungo con lui, Giordano Baggio, ricorda che quando erano entrambi alla Procura di Monza, ogni giorno, nel tardo pomeriggio, si ripeteva un rito: Mapelli entrava nel suo ufficio, si sedeva di fronte a lui, chiedeva: “E allora, come va?”. Tra una telefonata e l’altra, i due riuscivano poi a malapena a scambiare qualche parola. “Non veniva per avere informazioni, ma per fare squadra”, ricorda Baggio. “Io all’inizio, venendo dalla riservata Procura di Torino, non sempre apprezzavo la sua ‘invadenza’. Ma poi, dopo che Walter era stato assente dall’ufficio per qualche giorno, cosa per il vero rarissima, ho capito quanto mi mancasse il suo saluto pomeridiano. Walter è il più forte antidoto naturale a una magistratura chiusa nel suo fortino giudiziario che io abbia mai conosciuto. E meno male che mi è stato somministrato”.

Mapelli era diventato esperto in reati finanziari. Aveva indagato sul crac Cirio, su Impregilo, sul fallimento Burago. Aveva raccontato la sua esperienza nel libro La democrazia dei corrotti (Bur Rizzoli), scritto nel 2012 con Gianni Santucci. L’anno prima, nel 2011, aveva avviato la grande inchiesta sul “Sistema Sesto” e sull’ex sindaco di Sesto San Giovanni, Filippo Penati (prima Pds, poi Pd), accusato da alcuni imprenditori di avere preteso tangenti per concedere i permessi per costruire sulle grandi aree industriali dismesse della ex Stalingrado d’Italia. I processi che ne seguirono furono tortuosi e le accuse a Penati si smarrirono per strada, tra assoluzioni e una prescrizione che cancellò le imputazioni più gravi.

Il capolavoro di Mapelli resta la caccia ai soldi Imi-Sir, “la più grande caccia al tesoro della storia italiana”, arrivata felicemente al traguardo dopo un viaggio (virtuale) che ha toccato gran parte dei paradisi fiscali e societari di tutto il globo, dal Liechtenstein a Cipro, dalle Isole del Canale alle Cayman, dalle Bahamas a Singapore, da Panama a Samoa, dalle Seychelles a Vanuatu. Fino a Labuan, l’isola della Perla di Sandokan…

L’Imi, allora banca di Stato, nel 1994 fu costretta a pagare 1.000 miliardi di lire alla Sir del petroliere andreottiano Nino Rovelli. La sua famiglia incassò il malloppo, grazie a una sentenza del tribunale civile di Roma. Ma era una sentenza comprata (dagli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora) e venduta (dal giudice Vittorio Metta). Mapelli si mise a caccia del malloppo, insieme alla pm Donata Costa e al maresciallo della Guardia di finanza Roberto Pireddu. E lo trovò.

Era un magistrato che lavorava con passione e capacità di ascolto. “Viveva la magistratura come impegno nella società civile”, ricorda l’amico Baggio, “senza mai essere noioso o retorico e andando sempre al sodo”.

Fotto quotidiano, 11 aprile 2019
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