Ligresti, ora è da riscrivere la storia del “salvataggio” Fonsai
Lunedì 1 aprile 2019 è stata prosciolta Giulia Ligresti. Il fratello, Paolo, era già stato assolto nel luglio 2018. Nei due casi, i giudici hanno ritenuto che il bilancio 2010 di Fonsai – in particolare la riserva sinistri – non fosse falso e che false non fossero neppure le informazioni fornite al mercato nel 2011. Ora vedremo che cosa succederà a Jonella Ligresti, stesse imputazioni, condannata in primo grado a Torino ma poi rimandata a Milano, dove il suo processo dovrà ricominciare da capo. Già ora, comunque, si apre un problema: se il bilancio di Fonsai nel 2010 non è stato gonfiato, allora come è avvenuta, negli anni seguenti, la fusione tra Fonsai e Unipol? I concambi erano corretti?
È l’oggetto di una inchiesta iniziata a Milano dal pm Luigi Orsi, poi passata a Torino al pm Marco Gianoglio e ora rimandata di nuovo a Milano, nelle mani dei pm Stefano Civardi e Roberto Fontana. Sull’incredibile ping-pong Milano-Torino, che ha interessato anche i processi di Giulia, Paolo e Jonella (oltre che di loro padre Salvatore, morto nel maggio 2018), poco da dire: a Torino c’è la sede di Fonsai, ma la Borsa è a Milano, dunque è a Milano che si radicano i processi per false comunicazioni al mercato. Prenderne atto prima avrebbe fatto risparmiare molto tempo. Più complesso il discorso sulla fusione, sulla quale le due sentenze a Giulia e Paolo potrebbero gettare una nuova luce.
La fusione è stata l’ultima, grande operazione “di sistema”: fondere le compagnie assicurative di Salvatore Ligresti (Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni) con Unipol, la compagnia del mondo coop. Per dare vita a una società (UnipolSai, diventata la seconda compagnia d’assicurazione italiana) sotto lo sguardo benevolo di Mediobanca, regista dell’operazione. Un’operazione applaudita e benedetta da gran parte della finanza, della politica e dell’informazione, con l’eccezione del Fatto quotidiano e di poche altre voci, che segnalavano vistose anomalie nella fusione.
È ancora da scrivere la vera storia di quel matrimonio forzato tra Unipol e Fonsai attorno a cui si sono affaccendati, oltre agli uomini delle due aziende, i caporioni di Mediobanca, della Consob, dell’Ivass, con il silente assenso, ai tempi delle larghe intese, della politica di destra e di sinistra. Una bicamerale degli affari che ha permesso alla compagnia “rossa” guidata da Carlo Cimbri di riuscire nell’impresa in cui aveva fallito il suo predecessore Gianni Consorte, fermato nel 2005, insieme ai “furbetti del quartierino”, mentre tentava la conquista della Bnl.
Tutto nasce nel 2012, dalla crisi del gruppo Ligresti. Fedele e silenzioso, don Salvatore ha gestito per un decennio la compagnia mantenendola nell’orbita di Mediobanca. Ma trattandola come un bene di famiglia, mettendo ai vertici manager di sua assoluta fiducia e spolpandola via via fino al buco che lo ha portato al crollo. Mediobanca è sempre stata al suo fianco: è stato Maranghi a concedergli il prestito subordinato di 400 milioni di euro per permettergli di impossessarsi di Fondiaria. E già nel 2001 il debito totale di Ligresti nei confronti di Mediobanca era di 930 milioni. Uscito di scena Maranghi, arriva Alberto Nagel, ma Mediobanca continua a seguire passo passo Ligresti, che si lancia in bagni di sangue come le acquisizioni di Liguria assicurazioni o della compagnia serba Ddor.
Nel 2008, arriva l’ultimo regalo di Mediobanca, 350 milioni. Poi il rubinetto si chiude. In un decennio, l’istituto di Nagel ha buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai, mentre Unicredit mette un mucchio di soldi in Premafin, la holding dei Ligresti che controllava Fonsai. Alla ricerca di una via d’uscita, i creditori tentano nel 2011 di salvare la baracca con un aumento di capitale da 450 milioni. Le Procure di Milano e di Torino aprono inchieste. Segue l’arresto di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia. Ma intanto Mediobanca ha trovato come sostituirli. Chiamando Unipol, che era a sua volta pesantemente indebitata con Mediobanca. Che cosa c’è di meglio, in Italia, che unire due debolezze, mantenendo Fonsai in mani amiche?
Dal gennaio 2012 partono le grandi manovre per arrivare alle nozze. Il piano iniziale prevede che Unipol compri (a buon prezzo) la maggioranza di Premafin (che vale poco o niente, avendo più debiti che attivo): così Ligresti può uscire di scena contento e con un po’ di soldi; e Unipol se la cava con un’opa facile e concordata, perché le azioni di Premafin sono quasi per l’80 per cento nelle mani dei Ligresti. Una volta acquisita la holding, sono conquistate anche le vere prede, cioè le sottostanti Fonsai e Milano Assicurazioni, senza bisogno di opa e alla faccia degli azionisti di minoranza e del mercato.
C’era, a dire il vero, un’offerta alternativa, che era stata avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe. Ma questi volevano comprare Fondiaria, non Premafin, che era una scatola vuota, anzi piena di debiti, che sarebbero restati sul groppone di Mediobanca. Ecco allora che la loro offerta è stoppata, anche grazie alla laboriosa puntigliosità della Consob di Giuseppe Vegas, che invece è molto più “fluido” nei confronti della soluzione Unipol, voluta da Nagel.
Il primo progetto (opa su Premafin) è però chiaramente al di sotto delle soglie minime di decenza. Così Nagel a gennaio riunisce nella sede di Mediobanca i protagonisti della vicenda e mette a punto un secondo piano. Alla presenza di un uomo Consob: l’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare. Manca soltanto il bacio in fronte che il banchiere Gianpiero Fiorani, evidentemente più espansivo, nel 2005 scoccò in fronte a un altro arbitro non proprio sopra le parti, l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Il nuovo piano prevede non l’acquisto, ma un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede sottostanti, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni. Ai francesi di Groupama, che avevano tentato di comprare Fonsai pochi mesi prima, era stato detto che se volevano Fonsai dovevano fare l’opa. Unipol no, può anche non farla: lo certifica la Consob di Vegas, nella sua delibera del 24 maggio 2012, sostenendo che quella è considerata un’operazione di salvataggio, dunque esente da opa; anche se poi dovrà essere l’Ivass (l’autorità di controllo sulle assicurazioni) a formulare il giudizio finale sulla questione. Questo arriva tardi e ben confuso, non si esprime in modo chiaro e l’operazione va avanti.
Unipol, con la fusione, salirà dal 42 al 50 per cento nella nuova Fonsai: con questo salto, è d’obbligo l’opa “di consolidamento”. Ma Cimbri spiega al mercato di non essere tenuto a farla, perché sta completando, con la fusione e gli aumenti di capitale, un’unica, anche se lunga e complessa, “operazione di salvataggio” già autorizzata dalle autorità di vigilanza ed esente da opa.
Ma la vera bomba a orologeria è dentro Unipol. Quanto vale la compagnia? Una valutazione firmata da Ernst&Young (su incarico di Fondiaria, quindi di parte) sostiene che Unipol avrebbe a fine 2011 un patrimonio netto rettificato di soli 302 milioni, ben lontano da quello scritto a bilancio come patrimonio contabile (1,1 miliardi di euro). E che il valore intrinseco della società sarebbe addirittura negativo.
Dubbi sui conti vengono sollevati anche da dentro la Consob: secondo l’ufficio Analisi quantitative guidato da Marcello Minenna, il bilancio 2011 di Unipol non aveva contabilizzato 2 o 300 milioni di perdite relative a titoli strutturati. Le perdite potrebbero però essere anche più alte, secondo la struttura di Minenna, poiché non c’è chiarezza sui titoli derivati infilati nel portafoglio della compagnia bolognese.
Queste notizie, filtrate sulla stampa, provocano la reazione di Luigi Orsi, il pm che da Milano sta indagando sul buco del gruppo Ligresti. Già nel luglio 2012, dopo la diffusione dello studio Ernst&Young, il magistrato manda una lettera a Giuseppe Vegas, presidente della Consob, chiedendo chiarimenti. Vegas risponde che la Consob sta lavorando e che farà sapere. Qualche settimana dopo, il 18 dicembre 2012, sul sito di Unipol compare un comunicato: la compagnia, su richiesta della Consob, svaluterà alcuni derivati dal valore controverso, con un’operazione che a bilancio 2012 vale una quarantina di milioni.
Il 17 aprile 2013 Orsi invia a Vegas, via fax, una seconda lettera in cui chiede, come gli permette la legge, spiegazioni sulla vicenda. A che cosa si riferisce Unipol? Quali titoli strutturati ha svalutato? Glieli ha indicati la Consob? Chi ne ha fatto la valutazione di valore? La risposta arriva il 16 maggio. Con periodare proustiano, la Consob fa intendere di non avere per il momento dato indicazioni precise perché sta ancora lavorando sulla partita. Di certo c’è che il 17 aprile (lo stesso giorno in cui il pm invia il fax alla Consob), la Commissione di Vegas chiede a Unipol di recepire anche nel bilancio 2011 “la correzione della classificazione e valutazione dei titoli strutturati adottata nel bilancio consolidato 2012”.
Unipol risponde con il suo comunicato del 24 aprile 2013 in cui dice che le correzioni avrebbero un impatto “trascurabile” sul valore dell’attivo patrimoniale e che, essendo aumentati i ricavi, l’utile consolidato 2012 è aumentato di 28 milioni rispetto a quanto comunicato precedentemente. Comunque la compagnia annuncia di aver realizzato un ulteriore adeguamento dei valori di 48 titoli, con conseguente riduzione del valore di mercato della compagnia di 240 milioni di euro. Il comunicato, concordato con Consob, non dice che oltre 230 milioni di quella rettifica ex post del patrimonio sono frutto della riconsiderazione di un solo derivato. Il che lascia aperti interrogativi sull’esito finale della verifica di tutti gli altri derivati. Intanto, dentro la Consob, quel Marcello Minenna che sta facendo le pulci ai conti Unipol comincia ad avere grosse difficoltà a continuare il suo lavoro. È sommerso di accuse.
Il quadro che sembra delinearsi è di un “salvatore” (Unipol) più malato del malato che deve salvare (Fonsai). Il vero salvataggio da realizzare a ogni costo non è quello del gruppo Ligresti, ma della compagnia rossa. Il matrimonio s’ha da fare. Non lo fermano le analisi di Minenna, né le proteste di uno dei commissari Consob, Giuseppe Pezzinga, che viene messo fuori gioco da una manina che porta al Corriere della sera i suoi estratti conto presso IwBank, controllata da Ubi banca, da cui si deduce la sua passione per il trading online, non vietato ma certamente inopportuno per un commissario Consob. Anche il pm Orsi alla fine molla il colpo, dopo che le sue indagini sono state rallentate e depotenziate in ogni modo dai suoi capi in Procura.
Ligresti e le figlie tentano, invano, di portare a casa almeno qualche benefit (scritto sul “papello” presentato da Jonella a Nagel). Ma poi devono farsi da parte. Le inchieste s’intrecciano e si sovrappongono tra le Procure di Milano e Torino. Secondo le conclusioni a cui giunge, anni dopo, l’inchiesta del pm torinese Marco Gianoglio, la fusione è stata realizzata diminuendo artatamente il valore di Fonsai e Milano Assicurazioni e gonfiando invece quello di Unipol. Carlo Cimbri e il suo vice Fabio Cerchiai sono accusati di manipolazione del mercato perché hanno indicato una perdita consolidata Fonsai 2012 di 1,1 milioni di euro, invece che un utile di 41,5 milioni.
Lo hanno scritto nel “Resoconto intermedio di gestione”: “notizia falsa”, scrive Gianoglio, “concretamente idonea a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo di Fondiaria-Sai” e ad alterare i concambi della fusione. Gaetano Caputi, direttore generale della Consob, è accusato di ostacolo alla vigilanza, perché pur “avendo la disponibilità, alla data 4 luglio 2013, dei risultati ottenuti” dall’ufficio Consob di Minenna, che “evidenziavano, al 31 dicembre 2011, un differenziale negativo di circa 600 milioni di euro” nel portafoglio titoli strutturati di Unipol, non ha passato l’informazione all’Ivass (l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni), “che conseguentemente autorizzava la fusione il 25 luglio 2013 senza disporre di tali sensibili elementi di valutazione”. E di abuso d’ufficio perché nascondendo quella perdita “intenzionalmente procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale agli azionisti Unipol, con contestuale danno ingiusto per gli azionisti Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni, Premafin Finanziaria”.
Cimbri, Cerchiai, i presidenti di Unipol e di Premafin, l’amministratore delegato di Premafin e il socio dello studio Gualtieri & associati, advisor di Unipol, sono accusati di manipolazione di mercato per aver diffuso il comunicato che fissava i rapporti di cambio per la fusione: “notizia falsa e concretamente idonea a provocare un’alterazione sensibile del prezzo delle azioni”, gonfiando il valore di Unipol, per non aver considerato le minusvalenze dei derivati, e diminuendo il valore di Fonsai. Omettevano perfino di “indicare il progressivo aumento del valore economico di Borsa di Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni intervenuto tra la data di approvazione del progetto di fusione (20 dicembre 2012) e il 30 giugno 2013”, giorno della fusione. E “i maggiori utili conseguiti nel corso dell’esercizio 2013” da Fonsai, che da una perdita di 1,1 milioni dichiarata il 30 settembre 2012 passava il 30 giugno 2013 a un utile di 171,5 milioni. Ora tutto ciò è passato nelle mani dei pm di Milano. Vedremo che cosa decideranno. (Il Fatto quotidiano, 3 aprile 2019, versione ampliata)
Assolta Giulia Ligresti
C’è il ping-pong tra Milano e Torino, nelle vicende giudiziarie che riguardano la famiglia Ligresti, rimpallate da una Procura all’altra. Ma c’è anche il merito: Salvatore Ligresti e i suoi figli Paolo, Giulia e Jonella hanno fatto falso in bilancio e manipolazione di mercato, quando hanno dichiarato le riserve sinistri di Fonsai nel 2010? No, rispondono ora i giudici. Quelli che hanno assolto Paolo Ligresti, giudicato con rito abbreviato iniziato a Torino e subito trasferito per competenza territoriale a Milano, dove è stata riconosciuta l’insussistenza del falso in primo grado e in appello. E ora anche i giudici che hanno accolto l’istanza di revisione, presentata dagli avvocati Davide Sangiorgio e Gian Luigi Tizzoni, per Giulia Ligresti, che aveva patteggiato una condanna a Torino, dopo che nel luglio 2013 era stata arrestata e chiusa in carcere insieme alla sorella Jonella e al padre Salvatore (ai domiciliari in ragione dell’età). L’istanza di revisione era stata chiesta per il contrasto dei giudicati: di assoluzione definitiva a Milano per Paolo; di condanna, pur patteggiata, a Torino per Giulia. Ieri la Corte d’appello di Milano ha cancellato il suo patteggiamento a 2 anni e 8 mesi, stabilendo che non ha commesso falso in bilancio né manipolazione di mercato.
Resta ancora aperta la posizione di Jonella Ligresti (il padre, Salvatore, è morto nel maggio 2018), condannata in primo grado a Torino a 5 anni e 8 mesi e in appello rinviata per competenza territoriale a Milano, dove il processo dovrà ricominciare da capo. E resta aperto il processone per la fusione del 2011 tra la Fonsai dei Ligresti e la Unipol di Carlo Cimbri, con indagati i vertici di Unipol: inchiesta avviata dal pm Luigi Orsi della Procura di Milano, poi passata a Torino al pm Marco Gianoglio, infine rimandato di nuovo a Milano, dove i pm Stefano Civardi e Roberto Fontana dovranno ricominciare tutto da capo. A Torino c’era la sede di Fonsai, ma la Borsa è a Milano: dunque qui sono stati eventualmente compiuti i reati di aggiotaggio e qui si radica la competenza a giudicarli.
L’assoluzione di Giulia Ligresti è stata commentata così dagli avvocati Sangiorgio e Tizzoni: “Questa sentenza sancisce e rimarca che non ci fu nessun crac di Fonsai e nessuna responsabilità da parte della famiglia Ligresti. Restituisce piena dignità a Giulia Ligresti, che ha subito una ingiusta carcerazione, e ristabilisce la verità su un’operazione finanziaria la cui vera storia inizia finalmente a essere scritta”. Già, l’operazione finanziaria è quella realizzata da Mediobanca, che decide di chiudere i rubinetti a Salvatore Ligresti dopo averlo usato per decenni e gli impone la fusione con Unipol: una grande operazione di sistema in cui, secondo le ipotesi d’accusa, il valore del “salvato” (Fonsai) viene depresso, per favorire i concambi con il “salvatore” (Unipol). Forse il “salvatore” era più malato del “salvato”.
Intanto, Giulia Ligresti dichiara la sua soddisfazione: “Finalmente, dopo più di sei anni, si è arrivati alla verità. E stata durissima, ma non ho mai smesso di lottare e di avere fiducia nella giustizia, nonostante sia stata messa in carcere, con tutto ciò che ne consegue, da innocente”. (Il Fatto quotidiano, 2 aprile 2019)