Bellini, il filo nero dalla strage di Bologna alle stragi di mafia del 1993
Un filo nero, nerissimo, lega la strage di Bologna alle stragi di mafia del 1992-93. È il filo stretto e annodato da Paolo Bellini, fascista con uso di mondo e contatti con apparati dello Stato. Un vecchio filmato amatoriale racchiuso in una dimenticata cassetta “Super 8” mostra un uomo che si aggira nei pressi del primo binario della stazione di Bologna. È il 2 agosto 1980. Da pochi minuti è esplosa la bomba che uccide 85 persone e ne ferisce 200. Quell’uomo, secondo la Procura generale di Bologna che sta compiendo l’ultima indagine sulla strage, ha una “spiccata somiglianza” con Paolo Bellini, militante di Avanguardia nazionale.
A girare il “Super 8” è un turista tedesco che si trovava quella mattina in stazione. Filma l’arrivo di un treno sul primo binario: sono le 10.13. Dopo 12 minuti, lo scoppio. La più cruenta delle stragi italiane. Il turista riprende a filmare: il marciapiede del primo binario, la sala d’aspetto, le macerie. Compare un uomo che potrebbe essere Bellini.
Gli avvocati dei familiari delle vittime hanno recuperato quel “Super 8” nell’Archivio di Stato e lo hanno depositato alla Procura generale. Gli ingrandimenti di alcuni fotogrammi mostrano un uomo con i capelli ricci, grossi baffi, sopracciglia folte. Davvero simile a Bellini nelle foto di quegli anni. Sulla base di questo videodocumento, la Procura generale ha chiesto la revoca del suo proscioglimento in istruttoria del 1992, per poter riaprire le indagini su di lui e tentare un riconoscimento antropometrico.
Oggi ha 66 anni, Bellini, fin da ragazzo militante fascista di Avanguardia nazionale. Fu indagato per la strage di Bologna, dopo che due testimoni lo avevano indicato presente in stazione la mattina del 2 agosto. Lui negò, fornì un alibi (un po’ traballante), fu infine prosciolto per mancanza di riscontri. Nel 1996, un’intercettazione ambientale torna a chiamarlo in causa. A parlare, intercettato, è Carlo Maria Maggi, capo di Ordine nuovo nel Triveneto, condannato per la strage di Brescia e morto a dicembre 2013. Dice a un familiare che la strage di Bologna è stata fatta dalla banda di Giusva Fioravanti e che l’esplosivo è stato portato dall’“aviere”. È Bellini, dicono gli investigatori, che aveva il brevetto di pilota ed era noto negli ambienti fascisti proprio per la sua passione per il volo. È Bellini anche il personaggio che entra nelle indagini sulle stragi di Cosa nostra del 1993 e sulla trattativa in corso allora tra Stato e mafia.
Diventato confidente dei carabinieri, Bellini sostiene di essere stato mandato dal maresciallo Roberto Tempesta, in servizio al Nucleo tutela patrimonio artistico, a recuperare opere d’arte rubate da Cosa nostra. Con l’ok del generale Mario Mori, allora vicecomandante del Ros Carabinieri. Bellini s’infiltra in Cosa nostra e torna da Tempesta raccontandogli che i corleonesi di Totò Riina minacciavano di compiere attentati ai monumenti artistici italiani: “Che cosa succederebbe se Cosa nostra mettesse una bomba alla Torre di Pisa?”. Qualche investigatore ipotizza che sia stato lui a dare (o portare?) ai mafiosi l’idea di attentare al patrimonio artistico. Nel 1993, le stragi “in continente” colpiscono in effetti l’Accademia dei Georgofili a Firenze, il Padiglione d’arte contemporanea a Milano e due basiliche a Roma.
Durante il processo sulla Trattativa Stato-mafia, Bellini ha ripulito la sua versione. “Non ho mai pensato di organizzare un attentato alla Torre di Pisa. Fu Antonino Gioè che, pensando che non si poteva fare una trattativa reale con chi mi mandava da lui a recuperare le opere d’arte, non ritenendoli seri, buttò lì la storia della Torre di Pisa”.
Gioè era uno dei corleonesi che hanno partecipato all’attentato a Giovanni Falcone ed è poi morto in carcere, in un suicidio parecchio anomalo. “Fu Gioè un giorno a dirmi: ‘Che cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?’. Ma quando dissi al maresciallo Tempesta quella frase, che cosa fecero? Nulla di nulla”, ha raccontato nel 2014 Bellini in aula.
Il filo nero delle stragi del 1993, a ritroso, arriva fino alla strage del 1980. Anche perché Bellini era in rapporti con un altro fascista, Sergio Picciafuoco, che era certamente presente il 2 agosto alla stazione di Bologna, fu condannato in primo grado per strage e poi assolto.
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