Ha 25 anni, Imane Fadil, quando entra per la prima volta nella villa di Arcore, invitata insieme a una schiera di ragazze alle “cene eleganti” di Silvio Berlusconi. Nata a Fez, in Marocco, cresciuta a Torino, era arrivata a Milano per fare la modella. Nel 2007 esordisce con Gene Gnocchi a La grande notte, su Rai2. “Poi per tre anni sono uscita dal giro perché mi ero fidanzata e mi interessava di più il lato sentimentale della mia vita”, aveva raccontato al Fatto quotidiano. Svanito l’amore, torna a girare nel mondo dorato e scivoloso della moda e dello spettacolo. “Mi chiedono se volevo prendere un caffè ad Arcore. Ho accettato: perché non andare a prendere un caffè da un signore che è padrone di tre televisioni?”.
Il caffè diventa una cena, una “cena elegante”: nel febbraio 2010, ad Arcore. “Quando sono arrivata, c’erano già altre ragazze. Ci ha accolto il signor Silvio. Dopo la cena, Nicole Minetti e Barbara Faggioli si cambiano d’abito e si vestono da suore, con una tunica nera e una croce rossa sul velo. Ballano e a un certo punto si tolgono il vestito da suora, restano in lingerie e cominciano a dimenarsi attorno al palo della lap dance. C’era anche Lisandra Lopez, che non indossava le mutandine e quando si chinava lasciava vedere chiaramente il sedere nudo e anche diciamo la parte intima femminile”.
Tra il febbraio e il settembre 2010, Imane torna almeno altre quattro volte ad Arcore e una a villa Campari, a Lesa. I suoi contatti sono Emilio Fede e Lele Mora. Riceve una busta con 2 mila euro a febbraio, con 5 mila a settembre. È appassionata di calcio. Se ne intende, sa tutto del Milan, che era ancora la squadra di Berlusconi. Accarezza il sogno di lavorare a Milan Channel, confida che le sarebbe piaciuto avere un suo programma tv. Invece solo “cene eleganti”. Assiste al bunga-bunga, senza mai partecipare attivamente alle scene hard.
Il 26 ottobre 2010 il Fatto quotidiano racconta per la prima volta che una ragazza ancora minorenne sta spifferando ai magistrati milanesi i suoi incontri ravvicinati con Berlusconi e sta spiegando che cos’è il bunga-bunga. È Ruby, la ragazza marocchina Karima El Mahroug. Ne nasce lo scandalo, l’inchiesta, due processi: uno contro Berlusconi, accusato di prostituzione minorile e concussione, l’altro contro Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, accusati di essere quelli che organizzavano le feste e portavano le ragazze ad Arcore. Le ragazze negano. Difendono tutte Silvio. Le serate erano cene normali a cui seguivano spettacolini di musica e ballo.
Solo tre rompono il fronte e raccontano il bunga-bunga: Imane, Ambra e Chiara. Le ultime due hanno partecipato a una sola serata, Imane è invece una frequentatrice più assidua. Lo racconta in un memoriale. Assistita dall’avvocato Danila De Domenico, lo consegna ai magistrati. Decide di dire la verità. “Non ce la faccio più a passare per quella che si è venduta ad Arcore. Non m’interessano i soldi, m’interessa la mia dignità. Ho partecipato a qualche serata a casa del presidente, ma io non ho mai fatto niente di sconveniente. Finita in questa storia, per sei mesi mi sono chiusa in casa. Nessuno mi dà più lavoro. Allora ho deciso di raccontare quello che ho visto, perché non voglio far vincere quelli che denigrano le donne, che fanno convincere le ragazze che si fa strada non per meritocrazia, ma per mignottocrazia”.
Diventa la testimone chiave dei processi Ruby 1 (a Berlusconi) e Ruby 2 (a Fede, Mora e Minetti). Si costituisce parte civile. Chiede di essere risarcita. Durante i processi, denuncia di essere stata avvicinata da uno strano personaggio, “un uomo alto con gli occhi azzurri” che la vuole riportare ad Arcore per farla accordare con Berlusconi. Adombra l’ingresso in scena dei servizi segreti. L’uomo è Saed Ghanaymi, siriano, scopre la Procura, che non trova però riscontri che confermino il complotto.
Imane si ripresenta in Procura quando parte il processo Ruby 3, contro Berlusconi e i tanti testimoni dei festini accusati di aver mentito a pagamento. Lo scorso 14 gennaio non viene ammessa come parte civile nel processo. Intanto ha scritto un libro che non riesce a pubblicare. Si avvita sempre più in una spirale dove ballano fantasmi neri, spiriti cattivi, riti demoniaci. Nell’ultima intervista rilasciata al Fatto nell’aprile 2018 si dice convinta che ad Arcore si ritrovasse “una setta satanica composta da sole donne”, afferma che “questo signore fa parte di una setta che invoca il demonio”. Le ombre nere con cui faticava a convivere l’hanno accompagnata fino all’Humanitas, fino alla morte. (Il Fatto quotidiano, 16 marzo 2019)
I dubbi della Procura, i silenzi dell’ospedale
Mix di sostanze radioattive. Potrebbe essere questa la causa della morte di Imane Fadil, 34 anni, testimone chiave nei processi sulle feste del bunga-bunga ad Arcore. “Temo di essere stata avvelenata”, diceva dal suo letto d’ospedale prima di morire. Era arrivata in gravi condizioni al pronto soccorso dell’ospedale Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano, il 29 gennaio. Era stata subito ricoverata nel reparto di terapia intensiva, poi trasferita in rianimazione. Una lunga agonia. Fino alla morte, il 1 marzo. Soltanto ieri la notizia è rimbalzata dal palazzo di giustizia di Milano: il procuratore della Repubblica Francesco Greco ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver aperto un fascicolo sulla morte della ragazza, la prima delle grandi accusatrici di Silvio Berlusconi nei processi del caso Ruby.
Ipotesi di reato: omicidio volontario. L’indagine è affidata al procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e al sostituto procuratore Luca Gaglio, gli stessi pm che seguono il processo Ruby 3, in cui Berlusconi è accusato di corruzione in atti giudiziari per aver pagato una serie di testimoni inducendoli a mentire. La Procura ha disposto il sequestro della cartella clinica e ha ordinato l’autopsia della ragazza, che sarà eseguita nei prossimi giorni. Ha sequestrato anche oggetti personali di Imane, tra cui il testo di un libro in cui raccontava la sua storia e che avrebbe voluto pubblicare.
L’ipotesi che la morte sia avvenuta per avvelenamento da mix di sostanze radioattive emerge da analisi realizzate da un laboratorio specializzato di Pavia, che avrebbe individuato la presenza di diverse sostanze letali nel suo sangue. “Nella cartella clinica di Imane Fadil ci sono diverse anomalie”, afferma il procuratore Greco, “e non è indicata alcuna malattia specifica”. Dopo il ricovero, Imane lamentava gonfiori e dolori al ventre, senza che i medici riuscissero però a individuare una causa certa dei sintomi. “Durante il ricovero”, ha confermato il procuratore, “ha avuto telefonate e visite del fratello e dell’avvocato, a cui ha confidato le sue paure di essere stata avvelenata. Faremo indagini approfondite, perché c’è stata una morte e quindi bisogna considerarla una vicenda seria”.
“Non c’è una diagnosi precisa sulla sua morte”, ribadisce anche la pm Tiziana Siciliano, “ma dalle analisi emerge una sintomatologia da avvelenamento”. Durante la lunga agonia, “c’è stato il progressivo cedimento di tutti gli organi, eppure i medici dell’Humanitas non hanno ritenuto di segnalare il caso alla Procura”. L’ospedale replica che gli esami tossicologici per appurare le cause della malattia erano stati avviati già prima del decesso avvenuto il 1 marzo. “Ma gli esiti degli accertamenti richiesti, molto complessi, sono arrivati solo il 6 marzo e Humanitas li ha subito trasmessi agli inquirenti”. In una nota della struttura sanitaria si aggiunge che “la paziente era stata presa in carico da una équipe multidisciplinare che ha messo in campo ogni intervento clinico possibile per la sua cura e assistenza”.
“Durante il mese di ricovero alla clinica Humanitas, Imane era sofferente ma mentalmente lucida ed è rimasta lucida fino alla fine”, racconta il suo avvocato, Paolo Sevesi. Proprio questo ha irritato la Procura, che lamenta di non essere stata informata in tempo dall’ospedale, quando sarebbe stato ancora possibile interrogare Imane. I pm hanno potuto invece sentire soltanto il fratello e l’avvocato, e solo dopo la morte della ragazza. Appena la notizia si è sparsa, si è rapidamente diffusa anche la paura tra le altre protagoniste delle serate di Arcore. (Il Fatto quotidiano, 16 marzo 2019)
Lo smemorato di Arcore: “Imane? Mai conosciuta”
Papi ha parlato: “Non l’ho mai conosciuta”. Silvio Berlusconi nega di aver mai incontrato Imane Fadil, la ragazza che è stata testimone chiave nei processi sulle feste di Arcore e che è morta il 1º marzo, forse avvelenata, dopo un mese di atroci sofferenze. “Non l’ho mai conosciuta”. Memoria debole, quella dell’ex presidente del Consiglio. Smentito da testimoni, da documenti processuali e da un paio di sentenze. Ma smentito perfino da un suo amico, Emilio Fede, che nell’intervista concessa ieri al Fatto quotidiano ha confermato di aver accompagnato più volte Imane da Silvio. Conferma anche Lele Mora, che per primo le propose di “prendere un caffè” a casa di Berlusconi e la portò la prima volta a un incontro che, prima del caffè, offrì una “cena elegante”.
Aveva 25 anni, Imane Fadil, quando arrivò alla villa di Arcore. La ragazza era fiera della sua competenza calcistica – “so tutto del Milan, sono una donna, ma ne so più di un uomo” – e sperava che incontrare “il padrone di tre televisioni” potesse essere una buona occasione per cominciare a lavorare in un programma sportivo. Ma oggi Silvio non ricorda, e Silvio è uomo d’onore. “Spiace sempre che muoia qualcuno di giovane”, ha detto, “ma quello che ho letto delle sue dichiarazioni mi ha sempre fatto pensare che possano essere tutte cose inventate e assurde”.
Carta canta: le prove processuali dicono che è stata sei volte ad Arcore, una (4 settembre) a villa Campari, a Lesa sul lago Maggiore, e una volta (29 agosto) a cena da Giannino, il ristorante preferito da Fede, Mora e le Olgettine. Totale: otto incontri. Possibile che, nella folla di ragazze che lo attorniavano, Papi non si sia mai accorto di quella ragazza mora, dinoccolata, esile, sempre poco truccata? Non era delle più scatenate, non si spogliava, non si esibiva al palo della lap dance. Ma una volta ha ballato la danza del ventre, lei che era nata a Fès, in Marocco. Una sera (5 settembre) ha ricevuto proprio da Silvio la proposta a cui tutte puntavano: “Resti per la notte?”.
Voleva dire aver passato la selezione del Talent show del bunga-bunga, aver vinto l’XXX-Factor di Arcore, aver fatto colpo su Papi e aver meritato la busta più pesante tra quelle diligentemente preparate dal ragionier Spinelli: con dentro 5 mila euro in banconote da 500. Quella volta Imane disse no, pur intascandosi la busta giallina. Non se la sentiva di salire nella camera con il lettone di papi. Testimone credibile, per i giudici del processo Ruby 1 (imputato Berlusconi) e Ruby 2 (imputati Fede, Mora e Nicole Minetti). La teste Fadil, secondo i giudici, ha raccontato i fatti e ha detto la verità, anche quando ha riferito “dettagli vantaggiosi per l’imputato”.
La prima volta ad Arcore nel febbraio 2010, portata da Lele Mora. La serata “era stata connotata da attività prostitutiva”. Le volte seguenti a portarla in villa è Fede. Il 25 agosto, Maria Rosaria Rossi, parlamentare di Forza Italia, le chiede la danza del ventre. Imane balla, a Silvio piace: “Aveva apprezzato la sua esibizione e le aveva regalato un piccolo anello”, dice la sentenza. Torna il 26 e il 27 agosto. Due serate senza bunga-bunga: una partita di calcio alla tv, un film satirico contro Gianfranco Fini. Presenze certe: lo provano le intercettazioni e le celle dei telefonini. Ma Silvio non si ricorda di Imane, ragazza tormentata e fragile. (Il Fatto quotidiano, 17 marzo 2019)
Paura di contaminazione radioattiva